The Books – Lost and Safe
Per parlare di Lost and Safe dei Books, mi viene comodo tirare in ballo Simon Reynolds (quello di Retromania), qualcuno di molto più competente di me nello sporco lavoro di parlare di musica.
Reynolds di recente si è interessato ad un processo in corso negli ultimi anni, che ha provato a spiegare e definire coniando il termine di conceptronica. Nella sua definizione rientrano fenomeni musicali, tipicamente in forma di musica elettronica, che ambiscono ad allargare il panorama musicale spingendo in avanti (nell’accezione avant-garde) attraverso le nuove tecnologie. Mi limito ad un esempio rimandando alla recensione di uno dei dischi più discussi nel 2019, e cioè PROTO di Holly Herdon.
Ma nel recente passato si è riusciti ad essere avant-garde anche in maniera più spontanea, meno cervellotica e senza lasciarsi troppo prendere la mano dalla tecnologia. Non so cosa direbbe Reynolds, ma tutta la discografia del progetto The Books mi pare sia un’anticipazione di quello che sarebbe arrivato in quei contesti in cui la musica si fa davvero arte. Il progetto nasce dall’incontro a New York tra Nick Zammuto e Paul de Jong: entrambi nerd in molti sensi, i due si mettono a scavare negli archivi online e spulciare tra miriadi di reperti audio (interviste, discorsi, qualsiasi cosa). Questi frammenti sono poi lavorati, impastati, mischiati a partiture al violoncello (suonato da De Jong) e maneggiamenti elettro-acustici (di Zammuto) e amalgamati con field-recordings per un magma musicale coerente e appunto spontaneo, umano.
Se tutto questo può portare a credere che la musica in Lost and Safe sia qualcosa un complesso e disomogeneo assemblamento di “suoni”, basta premere play per provare il contrario.
La forma-canzone resta quella dominante, e nonostante i ricercati innesti d’archivio, gli arrangiamenti di chitarre (acustiche ed elettriche), e le sezioni ritmiche non sono mai troppo complessi. Lost and safe è di fatto un disco di canzoni.
Se già in passato qualcuno aveva provato a generare testi a partire dal caos e con l’aiuto del caso (con la tecnica di cut up, ad esempio), la tecnica compositiva dei Books segue spesso un approccio diverso. In sostanza si assiste ad un tentativo di lavorare i materiali di archivio, estratti forse a caso, e convogliarli verso qualcosa di senso compiuto: tirarli fuori da quel caos iniziale. Ed è così che diversi campioni e frammenti vocali estratti dagli archivi vengono trattati, assemblati e a partire da essi The Books ne estraggono una narrazione quasi lineare. Forse si spiega così anche il titolo di questo loro disco: ciò che sembrava perso viene messo in sicurezza.
Succede infatti in diversi pezzi che i testi recitati da Nick e Paul a poco a poco si rivelano interventi di Salvador Dalì alla mostra di Venezia, come nella traccia “Venice”: qui il commento sonoro da parte un giornalista di una performance di Dalì alla mostra di Venezia viene arricchito di un giro al basso e una ritmica dolce. Altrove si trovano citazioni di W.H. Auden, registrazioni familiari, o ripescaggi di archivi sonori difficili da tracciare [se siete curiosi, qui potete trovarne qualcuno nei commenti ai testi del disco].
Il disvelamento avviene gradualmente in quasi tutti i pezzi, e anche se il metodo è sempre quello, lo stupore ha già colpito: come un mago che sveli il suo trucco quando i bambini sono già a bocca aperta.
Quando i testi sono invece più propriamente scritti, come in Smells like content, c’è un grande lavoro poetico e di astrazione, con chiari richiami alle scienze pure (si cita la tabella degli elementi, o le particelle a stranezza non-zero) quanto alla filosofia o alla sociologia (Chomsky, tra gli altri). Una positività, nel senso filosofico del termine, che mischiata alla malinconia definisce perfettamente lo sfondo su cui si staglia la musica del duo.
I titoli sono quasi tutti ammiccanti (Smells like content riprende il famoso titolo dei Nirvana, o If not now whenever traducibile come: se non ora quando vuoi), e quindi si rischia di pensare che ci sia qualcosa di ironico nei toni e nei modi, tutto è molto serio, e gli ammiccamenti sono sempre parte del loro gioco di richiami e rimandi.
In sostanza si potrebbe dire i Books in Lost and Safe (ma sarebbe corretto dire nella loro intera discografia) provano ad offrire una ricetta musicale che tenda a ridurre l’entropia del mondo (ambizione enorme!); allineando elementi sonori disparati e unendoli ad arpeggi acustici e beat minimali riescono a costruire un personale storytelling che in fondo parla di fiducia verso una prospettiva iper-tecnologica, fiducia che nasce dal trovarne sempre il lato umano.