NFO best of 2023
Eccovi una breve lista (in nessun ordine particolare) dei migliori dischi usciti nel 2023 selezionati per voi dallo staff di NFO Radio. Auguriamo a tutti i nostri lettori altrettanto splendidi ascolti nel 2024!
[Qui potete trovare le nostre scelte del 2022, 2021 e 2020.]
The Lemon Twigs – Everything Harmony
Power-pop! Stringhe luccicanti, suoni dondolanti, scampanellii e giri di chitarra ci accompagnano tra cori e arpeggi vocali nello scintillio dei ’70s. I Lemon Twigs fanno molto di più che ammiccare a P.F. Sloan e al crogiolo nato dal brillio argentato dei ’60s: rivendicano uno stare nella musica che è un manifesto dei seventies, ma nella musica di oggi. Questi giovani e talentuosi ragazzi acciuffano il testimone da un personaggio del calibro di Todd Rundgren e ci corrono veloci come il vento lungo le tredici tracce del disco. Da “When winter comes around” a “What you were doing” poi non hanno nulla da invidiare a chi li ha preceduti. Il loro mestiere lo sanno fare egregiamente e propongono una musica sofisticata ed emozionante: ripescano dal baule delle formule sonore dei primi Who, dei Beatles e dei Beach Boys, ci incastrano le chitarre dei Byrds, come Todd aveva fatto prima di loro, e le raddrizzano in chiave moderna alla Alex Chilton dei Big Star. Il risultato è un disco con glamour e ambizioni che convince, appassiona, intenerisce e fa tornare il gusto dei buoni concerti dal vivo. Chapeau! In una traccia: “When winter comes around”. (Laura Birgillito)
Arthur Russell – Picture of Bunny Rabbit
Un brusio in uno spazio sconfinato, come nel mezzo di un oceano o dei campi di granturco dell’Iowa, pian piano prende forma. Sono gli stridii del tumultuoso violoncello di Arthur Russell a tappeto delle nove canzoni di Picture of Bunny Rabbit, l’ultima raccolta postuma del compositore che recupera inediti del 1986, anno di pubblicazione del suo World of Echo. Da questo attinge la sua inafferrabilità e fragilità, sebbene Picture Of Bunny Rabbit lavori su di un livello fondamentale del suono, destrutturato da una scarna elettronica e melodie appena accennate. In “The Boy with a Smile” la voce di Russell è un eco indistinguibile dal suono frastagliato del violoncello, a metà tra l’umano e lo spettrale. Se in “Fuzzbuster #10” l’incedere ripetuto del piano è protagonista fino a confondersi con lo strumento a corde sullo sfondo, “Fuzzbuster #06” invece sostituisce la chitarra al piano arrivando così a dialogare con il violoncello. Il lavoro di Russell ricerca sempre un equilibrio tra improvvisazione e composizione. Questo è evidente nella traccia che da il titolo al disco, in cui quattro variazioni di violoncello ed elettronica si sovrappongono organicamente. Dalla sua scomparsa nel 1992, le 1000 ore di registrato di Russell hanno alimentato un’industria a sé. Il mandato della ristampa può essere feroce, giocando con i cicli di scoperta-consumo-scarto sui dettami del gusto contemporaneo. La promessa di un altro tesoro portato alla luce potrebbe essere accolta con indifferenza, convinti che abbiamo già quanto ci basti. Salvo poi ritrovarsi ogni volta spiazzati di fronte a questa musica che si perde a vista d’occhio nell’orizzonte. In una traccia: “Fuzzbuster #09″. (Mirella D’Agnano)
PJ Harvey – I Inside the Old Year Dying
Mistico, criptico e poetico: così è il decimo album di PJ Harvey I Inside the Old Year Dying. I testi del disco sono basati sulla sua raccolta di poesie uscita l’anno scorso col titolo Orlam. Ne risultano brani complessi e difficili da comprendere, ma capaci di suscitare fascino e mistero. Ogni brano suona in maniera diversa da quello precedente: a volte è il suono di una rinascita, altre di una rivelazione. La voce di PJ Harvey si modula sempre in modo nuovo, tra cantato e Sprechgesang (come in “Seem an I”), sa essere molto profonda (in “All Souls”), per poi diventare acuta e quasi bianca (in “Autumn Term”). In questo album l’artista inglese sviscera tutte le tematiche umane più complesse: la vita e la morte, il mistico e il reale, l’essere bambino e adulto. Tutti questi opposti si ritrovano anche nella musica: tamburi, chitarre acustiche, flauti, piano e synth formano un perfetto equilibrio sonoro. Altri suoni sono ispirati dalla natura, come in “All Souls” dove il ritmo della batteria richiama il suono dei tuoni. I Inside the Old Year Dying ti trascina in un universo a sé, in un mondo musicale così complesso ed equilibrato, che crea un’atmosfera al contempo cupa e redentrice. In una traccia: “I Inside the Old Year Dying”. (Giordana Marsilio)
Marco Castello – Pezzi della Sera
C’è questo ragazzo che da un paio di anni si è messo in testa che i tempi siano quelli giusti per poter comporre canzoni alla chitarra classica e cantare in un italiano infuso di prestiti linguistici dal siciliano, spesso espliciti. Si chiama Marco Castello, viene da Siracusa e se il nome non vi dice ancora nulla e siete ancora in tempo per riprendere in mano il suo debutto Contenta Tu del 2021. Solo qualche mese fa, inizialmente solo in vinile, arriva il suo secondo disco Pezzi della Sera. Anche un ascolto distratto della sua musica può bastare per capire come musicalmente sia cresciuto con Pino Daniele, Fabio Contato e Alan Sorrenti: il suo è un pop melodico con qui e là tocchi di bossanova, per un’ipotetico punto d’incontro tra Jobim e gli High Llamas. Ma la sua non è certo una rievocazione nostalgica, e questo è chiaro quando poi ci si concentra sui testi in cui racconta di amori immaturi, di passaggi all’età adulta improvvisati, di cibo e voluttà assortite. E se servissero traduzioni verso l’italiano dei diversi giri di parole e modi di dire siculi che utilizza, chiedete pure. Come musicista Castello è sicuramente talentuoso e maturo (lo trovate nel progetto La Comitiva, la band sicula con cui va in giro Erlend Øye, ormai mezzo siculo anche lui), e poi è fin troppo chiaro quanto sia divertente per lui suonarle e scriverle queste canzoni. In una traccia: “Porci”. (Andrea Firrincieli)
KNOWER – KNOWER FOREVEER
I KNOWER sono il connubio esplosivo di Genevieve Artadi e Louis Cole, che in occasione del loro quinto album pensano in grande e si accompagnano a un’orchestra di ottoni, un ensemble d’archi, un coro e la ricorrente cerchia di alcuni fra i musicisti più virtuosi della scena funk-jazz losangelina. Autoprodotto, autopubblicato e per i primi quattro mesi disponibile unicamente su Bandcamp perché stavolta volevano “provare a fare un po’ di soldi”, KNOWER FOREVER è un disco perennemente sospeso fra virtuosismo e meme, che sfida i canoni dell’easy listening contemporaneo senza mai smettere di ammiccarvi. Tecnica e creatività sono gli elementi in comune fra i 12 brani dell’album, che a una base funk alternano momenti orchestrali (“Crash The Car”), citazioni disco (“Nightmare”), canzoni in cui non viene suonato neanche un accordo (“Do Hot Girls Like Chords?”) e alcuni tra i più notevoli assoli dati alle stampe nel 2023 (impossibile non citare tra tutti quello di pianoforte in “It’s All Nothing Until It’s Everything”, suonato da Rai Thistlethwayte). La camaleontica voce di Genevieve canta di ermetismo e nonsense, e resta il faro al centro degli espedienti musicali di Cole e compagnia, che sembrano trovare difficilissimo prendersi sul serio come testimoniano anche le esibizioni all’interno di una casa che la band pubblica periodicamente sul proprio canale Youtube. Il risultato sono 45 scorrevolissimi minuti che fanno muovere e ridere, e lasciano voglia di ricominciare subito la corsa non appena termina l’ultima traccia. Scusando il gioco di parole, i KNOWER la sanno lunga. In una traccia: “It’s All Nothing Until It’s Everything”. (Graziano D’Anna)
The Clientele – I’m Not There Anymore
I’m Not There Anymore segna il ritorno dei The Clientele dopo cinque anni di laborioso silenzio, presentandosi come un’opera ricca di sfumature, atmosfere e suggestioni. L’ottavo album della band trasmette, con la consueta raffinatezza e straordinaria profondità, affascinanti riflessioni sul mistero che pervade ogni essere umano. Un doppio LP ambizioso e riuscito, che non si limita a raccogliere i punti di forza dei precedenti lavori della band portabandiera del chamber pop, ma va oltre, innovando e spingendo l’asticella ancora più in alto. Dal punto di vista stilistico, gli innesti elettronici emergono come elemento di assoluta novità, frutto della dichiarata ammirazione di Alasdair MacLean per i Boards of Canada, nonché testimonianza della volontà di sperimentare ed innovare di tre musicisti con tre decenni di carriera alle spalle. “Fables of the Silverlink” rappresenta un’apertura inaspettata per i fan di lunga data, con la sua drum machine e una composizione complessa e articolata che richiama alla mente “Happiness Is A Warm Gun” dei Beatles. La libertà stilistica conquistata da questi veterani li porta a spaziare con disinvoltura dal pop psichedelico al folk, dal dub alla musica classica, dal rock barocco al minimalismo, dalla bossa nova al flamenco. Non mancano tuttavia alcuni instant classic di pari livello di “Reflection After Jane”, come “Lady Grey” e “Blue Over Blue”. L’intera opera è arricchita dai riferimenti ai fenomeni culturali che hanno influenzato la poetica di MacLean, che variano dalla letteratura fantasy inglese al surrealismo. In definitiva, I’m Not There Anymore è la dimostrazione che più il tempo passa più i Clientele migliorano. In una traccia: “Lady Gray”. (Andrea Greco)
jaimie branch – Fly or Die Fly or Die Fly or Die ((world war))
Diciamolo pure se ascolti i dischi dell’International Anthem, allora probabilmente sei un po’ picchiatello. Fly or Die Fly or Die Fly or Die ((world war)) viene finito di registrare nel luglio del 2022 appena un mese prima della morte prematura di jaimie branch e pubblicato successivamente dall’etichetta di Chicago il 25 Agosto 2023. La trombettista statunitense ci lascia in eredità un disco spaziale che conclude il ciclo di composizioni legato al suo ensemble di punta Fly or Die. Composto e registrato nel corso di una residenza artistica al Bemis Center for Contemporary Arts di Omaha (Nebraska), il disco si apre con un farfisa dalle sonorità cupe accompagnato da percussioni incalzanti e qualche soffio di tromba (“aurora rising”), sembra che la branch voglia presentarci un album tetro, ma così non è. Tutto quello che la trombettista di Chicago ci ha abituato a sentire in questi anni è presente: grande sperimentazione compositiva, sintetizzatori, basso elettrico, marimba, timpani, campane, contrabbasso, cimbali, violoncello, trombone, flauto, percussioni e naturalmente tanta tanta tromba. Un’opera trascendentale che a mio avviso potrebbe essere analizzata in tre capitoli. Il primo (“aurora rising”, “borealis dancing”, “burning gray”) in cui prevalgono i fiati e che viene interrotto dal brano “the mountain”, un pezzo spiritual che la compositrice usa a cerniera tra i viaggi psichedelici del debutto dell’album e la leggerezza quasi tropicale della seconda parte (“baba louie”, “bolinko bass”). “take over the world” è il manifesto politico di jaimie branch, potente, aggressivo, netto, la misura del tutto. Il disco si chiude in maniera circolare con la stessa solennità dell’apertura con “world war ((reprise))” e mentre la voce di jaimie echeggia tra i cimbali che man mano sfumano sul pezzo, ritorniamo alla realtà consci di avere perso per sempre, un immenso talento. In una traccia: “take over the world”. (Roberto Raneri)