NFO best of 2024

Come ogni anno, eccovi la consueta lista (in nessun ordine particolare) dei migliori dischi usciti nel 2024 selezionati per voi dalla redazione di Radio NFO. Come sempre, vi auguriamo splendidi ascolti nel 2025! [Qui potete trovare le nostre scelte del 2023, 2022, 2021 e 2020.]
Helado Negro – Phasor
L’ottavo disco del progetto Helado Negro, progetto dell’americano Roberto Carlos Lange, mischia leggerezza pop a psichedelia e sperimentazione, e lo fa senza troppi rischi di cadere in alcuna delle tre diverse tentazioni. In Phasor la sua specifica radice cantautorale sembra essersi assai evoluta dai tempi dei primi dischi per l’etichetta di Sufjan Stevens. Il disco di quest’anno poi pare sia – almeno in parte – il risultato di un esercizio di stile retro-futurista, iniziato quando a Lange nel 2019 viene dato accesso al Sal-Mar Construction, un sintetizzatore delle dimensioni di un armadio a muro, costruito nel 1969 e conservato nei laboratori dell’università dell’Illinois. Ma l’evoluzione musicale di Helado Negro è stata graduale negli anni, e poi anche in Phasor c’è spazio per la semplicità di pochi tocchi alla chitarra (come in “Es una fantasia” nel finale del disco). Se l’apertura con “LFO”, uptempo e ricca di loop e campioni, può risultare spiazzante, il resto del disco è fatto di paesaggi molto più cauti, col grosso delle canzoni fondamentalmente ancorate su giri melodici composti spesso di sole due note. Se “Echo tricks” e “Out there” richiamano gli Stereolab dei primi 2000, altrove si possono trovare spunti e richiami che abbiamo già apprezzato nelle uscite più recenti di Devendra Banhart. In una traccia: “I just want to wake up with you”. (Andrea Firrincieli)
Daniel Romano – Too Hot to Sleep
Un rock and roll graffiante e incalzante al suono di batteria, incastonato su base folk di tradizione canadese addolcito da note glam e sporcato dalle chitarre del garage, ci catapulta dritti sui 70s in chiave moderna. Dal lontano Ontario, Daniel Romano tira fuori dal cilindro un disco di spessore, frutto di estro, tecnica ed ascolto. Col suo talento polimorfico ripesca dal baule le formule sonore dei primi Who e Neil Young, ci incastra le chitarre e i cori dei Byrds, li rinvigorisce con la linfa dei MC5, degli Stooges, degli Stones e del crogiolo dei 70s e li riaggiusta a modo suo in chiave moderna degna di Alex Chilton. È questo il modo originale in cui Daniel Romano vuole rivendicare un proprio manifesto artistico e politico, e il suo stare nei tempi moderni gridando a tutta forza il proprio dissenso e critica nei confronti del capitalismo. Lo imbastisce e gli corre dietro con la velocità e l’intensità delle dieci tracce del disco. Da “Where’s Paradise” a “Too Hot to Sleep”, Romano propone una musica in stile power pop, sufficientemente sofisticata, intensa ed emozionante. Il risultato è un disco compatto e robusto, che offre un suono deciso che suona ancor meglio dal vivo. Bravo! In una traccia: “Generation End” (Laura Birgillito).
Beth Gibbons – Lives Outgrown
Lives Outgrown di Beth Gibbons è un album che colpisce l’ascoltatore non solo per la sua evidente qualità artistica, ma soprattutto per l’intensità emotiva con cui affronta temi universali come la mortalità e lo scorrere del tempo. Ogni brano invita a riflettere sul cambiamento, sui cicli della vita e sui ricordi che plasmano la nostra identità. Gibbons non teme di confrontarsi con la fragilità dell’esistenza, esplorando temi come la maternità, l’ansia, la menopausa e la mortalità, trasformazioni che segnano il corpo e l’anima. In “Lost Changes” il tempo diventa una forza inesorabile e l’amore stesso un elemento fluido che evolve. Questo cambiamento, anche se talvolta doloroso, è inevitabile e necessario. Con una dolcezza disarmante siamo invitati ad abbracciare il nostro destino comune (“We are lost together”). L’arrangiamento si sviluppa in un crescendo continuo, con una composizione stratificata di strumenti che si aggiungono progressivamente, creando un senso di movimento e trasformazione. I testi alternano momenti di malinconia, introspezione e accettazione, mantenendo un equilibrio tra intimità e riflessioni universali. Il senso profondo dell’album (ma in fondo anche dell’esistenza) viene suggerito da “Floating on a moment” con un richiamo alla consapevolezza e all’importanza di vivere pienamente il momento presente, mentre un coro di bambini accompagnato da un delicato arpeggio sottolinea il concetto (“All going to nowhere”). Con la chiusura di “Whispering Love” l’ascoltatore viene infine avvolto da un’atmosfera pastorale, quasi sacra. Il canto degli uccelli e i suoni naturali trasmettono quiete, suggerendo una connessione intrinseca tra l’umanità e il mondo naturale. La voce calda di Beth Gibbons ricorda che in fondo, nonostante le difficoltà, l’amore e la bellezza esistono ancora. In una traccia: “Floating on a moment” (Andrea Greco)
Kazy Lambist – Moda
Il perdersi in altre culture, l’esplorare nuovi orizzonti è il fil rouge del secondo album di Kazy Lambist, musicista electro-pop originario di Montpellier. Il tema del viaggio lo ha ispirato maggiormente, mi racconta in intervista. Infatti per comporre “Moda” Kazy Lambist alias Arthur Dubreucq, ha vissuto due anni a Roma e in parte a Istanbul. Proprio una zona di questa città dona il nome all’album: “Moda” è infatti un quartiere molto creativo, di musicisti, dove ha registrato molte delle tracce. Non solo, moda è una parola italiana e per questo racchiude al meglio l’unione di queste due culture, che hanno influenzato il suo album. In “Moda” si riconosce la sonorità di Kazy Lambist: basi con beats decisi, giri di chitarra semplici e armonici, con effetti elettronici come in “Lost “o “Mustang” e come in altri singoli del musicista francese anche qui non mancano collaborazioni con altri artisti. Però, questa volta, l’artista si spinge anche in nuove direzioni, aggiungendo nuovi strumenti alle composizioni, come archi o strumenti a fiato come nel caso di “Dünya”, un brano in lingua turca. Sulle parole di una poesia di Pasolini ha creato Lambist in “Interlude” una base musicale. L’influenza sonora del bacino mediterraneo è quindi in questo album predominante. In particolare il brano “Moda Disko” è ispirato al genere dell’ Italo-Disco, nel quale però la lingua inglese e turca confluiscono armonicamente l’una nell’ altra e rappresenta al meglio l’ essenza dell’album e l’unione di queste due culture. In una traccia: “Moda Disko” (Giordana Marsilio).
Trent Reznor & Atticus Ross – Challengers OST
Nella colonna sonora del film Challengers, il campo da tennis diventa un teatro di tensione e sensualità: uno spazio sonoro che Trent Reznor & Atticus Ross trasformano in un organismo vivo, pulsante. La musica dell film di Luca Guadagnino è una costruzione geometrica che vibra sul limite, dove il minimalismo tecno si sposa con una narrazione madida ed irrequieta. Reznor & Ross giocano con il ritmo come fossero loro stessi in campo: “The Signal” batte con l’insistenza di un cuore sotto sforzo, un movimento ipnotico da cui traspare un’energia trattenuta. Le sequenze di synth sono fredde e lucide, ma celano sotto la superficie un calore umano che scivola, sottile, tra le pieghe del brano. C’è un’eleganza feroce in pezzi come “L’Oeuf”, dove il pianoforte diventa un richiamo cupo e seducente che si interrompe nel silenzio appena prima di un colpo decisivo. È proprio qui che Reznor e Ross eccellono: nella capacità di evocare non solo la fisicità dello scontro, ma anche i non detti, le dinamiche invisibili che si muovono sottopelle. In “Lullaby”, la colonna sonora si ammorbidisce, trasformando l’ossessione in malinconia, un momento di tregua in cui intravedere tuttavia i demoni dello scontro. La musica di Challengers è un lavoro magnetico e ambiguo, che riesce a raccontare lo spazio ed il desiderio senza mai svelare troppo. Ogni brano amplifica la tensione fino a renderla insostenibile, come l’attesa sulla chiamata di una palla. Che sia game, set o match. In una traccia: “The Signal”. (Mirella D’Agnano)
Jeff Parker ETA IVtet – The Way Out of Easy
Jeff Parker in The Way Out of Easy ci spiega l’estensione del possibile del jazz. Dopo oltre dodici album all’attivo, arriva finalmente il suo meritato ingresso nella madre-terra della scena jazz statunitense: l’etichetta di Chicago International Anthem. La Anthem ha nel suo imprinting la capacità di connettere artisti innovativi e sperimentali con nuovi pubblici, che possono così scoprire lo stile compositivo di Parker: impegnativo, melodico, avanguardista ma sempre coerente. Il chitarrista e compositore losangelino, ha tenuto per diversi anni una residenza artistica settimanale al locale ETA di LA, formando lì il suo progetto di quartetto: gli ETA IVtet. E con questo quartetto già nel 2022 aveva realizzato un live album stratosferico (Mondays at Enfield Tennis Academy). The Way Out of Easy è un ricco doppio album con quattro lunghe tracce in totale ma che, a differenza del lavoro precedente, punta in maniera più esplicita a colpire l’ascoltatore e sorprenderlo senza mai guidarlo verso uno stato emotivo predeterminato.
“Freakadelic” apre l’album e rappresenta il manifesto della formazione losangelina, oltre ventitré minuti in cui è la sezione ritmica a farci dondolare la testa, mentre gli assoli in crescendo di Jeff Parker, alla chitarra, e del sassofonista Josh Johnson, spingono il tema principale fino al suo massimo evitando brillantemente pattern eccessivamente estranianti. La seconda traccia “Late Autumn” si apre con un tocco così delicato alla chitarra che può ricordare Jeff Buckley. La title track continua ad esplorare lo schema di Late Autumn, ma aggiungendo una prevalenza di sonorità elettroniche con un lavoro di sampling sui fiati. Infine “Chrome Dome” chiude il cerchio facendoci ancora oscillare, questa volta al ritmo di swing sincopato e reggae. The Way Out of Easy è un disco creativo, a volte ruvido, che tende alla sperimentazione massima, senza però diventare mai disdicevolmente borioso. Un esempio esaltante di quello che può essere il jazz quando capita nelle mani giuste. In una traccia: “Freakadelic”. (Roberto Raneri)