Flavio Giurato – Il tuffatore
«E te che giri in macchina la notte /
che ti telefono e nessuno mi risponde»
Era un verso che nell’autunno del 2009 sentivo cantare spesso a Cacco (Riccardo), il fratello della mia prima ragazza. Ed è allora che per la prima volta scopro confusamente che esiste Flavio Giurato, cantautore e fratello del più noto Luca. Il ritornello di Orbetello, traccia chiave del disco, mi rimane conficcato nella memoria ancora per qualche anno, una di quelle frasi che ti ritrovi a canticchiare senza conoscerla davvero. Quel primo impatto notturno e sconsolato, a ripensarci, sembrava accompagnare la rottura imminente.
Il tuffatore è il secondo album del cantautore romano
Concept pubblicato nel 1982 e scandito da due elementi principali (facciamo tre): una storia d’amore, i campi da tennis in cui è nata, e l’acqua a cui il tuffatore continua a tornare. L’amata deve fare attenzione, perché a innamorarsi dei cantautori poi si finisce nelle canzoni. E si comincia. L’incontro avviene in una hall d’albergo, prima di un torneo, in inglese e poi in italiano. Nella leggerezza della storia, accompagnata dal sax, fa capolino l’incertezza: «Oggi i ragazzi non sanno che fare / Sono insicuri su cosa va bene / E molti sono molto spesso a un passo da sbagliare».
Più che un disco disimpegnato, Il tuffatore è un racconto del disimpegno, del tempo libero e di amicizie «tra piazza Euclide e la primissima Toscana».
Lo ha anche spiegato una volta Giurato stesso in un’intervista a XL in cui descrive «il completo da tennis Sergio Tacchini [che] Il tuffatore [indossa come simbolo] per gli anni 80, gli anni di Craxi e Publitalia». Un mondo racchiuso tra i Parioli e Orbetello, cullato da reminiscenze prog-rock e pianoforti riflessivi. Giurato torna su questa leggerezza verso la fine, come quando ne La scuola di Congas si augura che in questa società dei consumi così americana possiamo diventare «una minoranza classica ed elegante, […] pur chiedendosi se si può ancora soffrire di manifestazione».
In Orbetello, completata da Orbetello ali e nomi, la tensione del tennis diventa l’immagine della lotta per gli amori. C’è l’evocazione del possibile, di qualcosa che non sarà.
Anni dopo la prima scoperta, mi sono ritrovato ad ascoltare ossessivamente tutto il disco ma l’ascolto principale tornava sempre su Orbetello. Una volta che mi ero invaghito di una ragazza, avendole rivelato il mio interesse (a metà) ma non sapendo come fare, mi sono affidato alle parole di Giurato: «Una donna alta non è mai banale sarà per lo sguardo necessariamente superiore». Non avevo fatto i conti con la realtà, e peggio ancora avevo ignorato quel che succede nella storia.
Il culmine della tensione musicale del disco si impenna da Marcia nuziale in poi. L’amore che si costruisce ne Il tuffatore è destinato a fallire, è fatto di distanze e cammini che non si incrociano mai davvero. «Le delusioni sono unite dalla ferrovia», come canta anche Il coro dei ragazzi in coda alla marcia. L’evasione da questo amore regala, almeno per me, tre splendidi pezzi finali. La title track riconcilia con l’esistenza ogni volta che l’ascolto, anche d’inverno. Giurato ha pubblicato altri tre album negli ultimi quarant’anni e dà il meglio di sé dal vivo.