Daniel Johnston – Fun
Se hai sentito parlare di Daniel Johnston, ci sono due possibilità: ha sempre fatto parte della tua discografia musicale oppure ci sei inciampato sopra e ti ha fatto completamente perdere l’equilibrio, sorridere, innamorare, navigare tra tutti gli stili musicali in una sola traghettata. Qualunque sia il modo in cui siete arrivati a lui, sarete sempre contenti perché è uno di quei pochi casi nella storia della musica leggera in cui vince, senza ombra di dubbio, lo spirito puro dell’artista su ogni logica di mercato.
Daniel Johnston è un eroe romantico ma di un romanticismo che non ha simbologie stereotipate, e la storia di Fun, tra tutti gli album della sua carriera, è quella che forse riassume meglio le incredibili peripezie dell’artista americano. Musicista, illustratore, fumettista, bambino-giocherellone: Daniel Johnston nasce a Sacramento nel 1961 e cresce in West Virginia, il più giovane di cinque fratelli di una famiglia cristiano-fondamentalista di una di quelle città dimenticate da Dio; il padre, ingegnere, pilota di aerei militari (dettaglio che ritornerà in maniera significativa nella sua vita) e reduce della seconda guerra mondiale trova lavoro all’interno della comunità quacchera. Un ambiente in cui le alternative sono poche: l’arte o la perdizione. Oppure l’arte della perdizione. E così fu. Prima di scoprire il potere della musica, Daniel si dedica a lungo al disegno, senza tuttavia sottrarsi ad un assiduo ascolto musicale degli artisti per cui svilupperà una vera e propria devozione: John Lennon, Yoko Ono, Bob Dylan, David Bromberg, Queen, Neil Young, the Sex Pistols, e soprattutto i Beatles. La celebre band di Liverpool viene esplicitamente citata proprio in “Rock ‘n’ roll/EGA”, ultima traccia di Fun.
My heart looked to art and I found the Beatles
Sebbene passeranno decenni prima che Daniel incida la sua prima cassetta, nel documentario The Devil and Daniel Johnston di Jeff Feuerzeig (premio migliore regia al Sundance nel 2005) veniamo a conoscenza del fatto che aveva circa nove anni quando inizia a strimpellare il piano di casa, immaginando di comporre colonne sonore per film dell’orrore. Il canto arriva leggermente dopo, sempre nel documentario di Feuerzeig, Johnston rivela di essersi esercitato cantando a squarciagola passando il taglia erba in giardino, in modo che nessuno potesse ascoltarlo. Le prime cassettine integralmente autoprodotte arrivano presto, quando nel 1980, disoccupato e rinchiuso nello scantinato di casa, incide Song of Pain e a distanza di tre anni More Song of Pain. Dedica la composizione lirica a Laurie Allen, una ragazza di cui Daniel si innamorerà perdutamente e che avrà un ruolo centrale nella sua vasta e diversificata produzione musicale (insieme a Casper il fantasma, i Beatles e Captain America).
L’intreccio dei temi musicali, lo struggimento, ma anche il gioco, l’euforia, l’esaltazione sono gli elementi che segnano un continuum nella carriera dell’artista americano. Viene da sé che tutte le copertine delle opere di Johnston sono sue illustrazioni originali che arricchiscono enormemente la qualità dei suoi progetti.
Nel 1983 trasferitosi a Austin, continua la sua produzione musicale incidendo gli album Yip/Jump Music e sopratutto Hi, How Are You. Da questo slancio produttivo emergeranno tracce come “Speedying Motorcycle”, “Sorry Entertainer”, “Casper the Friendly Ghost”, “King Kong” e una traccia dichiaratamente omaggio “The Beatles”: sono tracce che lo renderanno conosciuto da subito nella scena musicale texana e, un decennio più tardi ancora oltre fino alla fama mondiale. La creatività conta più dei mezzi tecnici perché tutte le audiocassette sono incise in overdubbing utilizzando un registratore Sanyo da 59$.
Tristemente Johnston, in realtà, inizierà veramentead acquisire visibilità ai più grazie al fatto che Kurt Cobain cominciò ad indossare una maglietta contenente proprio l’illustrazione di Hi, How Are you (e lo farà per oltre due anni).
A partire da questo periodo i negozi di dischi di Austin inizieranno a vendere le cassette di Johnston, sebbene lui continui a spacciarle gratuitamente. Ma è quando MTV decide di invitare Daniel al programma Cutting Edge che acquisisce notorietà definitivamente ed inizia ad essere annoverato nella scena underground.
Certo Hi, How Are You è un album straordinario, un capolavoro assoluto. Non è un caso che il sito di riferimento dei fans di Daniel abbia proprio lo stesso nome, oppure che a Austin vi sia un murales dedicato all’album e nemmeno che lo scorso 22 gennaio sia stato celebrato un evento-tributo in sua memoria dal titolo “Hi, How Are You Day 2020”.
Non vi sono dubbi che Hi, How Are You sia il suo album più popolare, tuttavia Fun, a mio avviso, è un punto di partenza più eterogeneo da cui poi esplorare tutta la discografia di Johnston oltre che la sua vita. A livello di suono, Fun è un turbinio di ballad dove quindi chitarra, voce e pianoforte hanno per costituzione uno spazio preponderante, ma i movimenti sono spesso accompagnati da un trio di archi, addirittura questa volta registrati in studio: praticamente un lusso nella produzione di Johnston, in prevalenza realizzata con mezzi improvvisati e rigorosamente in modalità analogica, in pieno spirito lo-fi.
Per capire di cosa stiamo parlando dovreste ascoltare direttamente la seconda traccia dell’album “Life in Vain”.
Don’t wanna be free of hope
And I’m at the end of my rope
It’s so tough just to be alive
When I feel like the living deadI’m giving it up so plain, I’m living my life in vain
And where am I going to?
I’ve gotta really try, try so hard to get by
And where am I going to?
il testo semplice e crudo va dritto al cuore trafiggendolo ma con dolcezza inserendo gli archi che traghettano lo stile puro indie di Johnston verso sonorità che ricordano a tratti il folk irlandese.
Flip on your TV
And try and make sense out of that
If we were all in the movies
Maybe we wouldn’t be so bored
“Life in Vain” ha un testo sempre attuale, ma non è la sola traccia rappresentativa dell’album che racchiude in totale ben diciotto brani. Un ascolto non eccessivamente lungo trattandosi di pezzi solitamente compresi entro i due-tre minuti che sono capaci di contenere tutti gli stili musicali e differire l’uno dall’altro quasi totalmente.
Qualora vi divertiate anche voi a sperimentare gli ascolti non sequenziali degli album, vi proporrei un percorso d’ascolto che comunque dovrebbe partire dalla prima traccia “Love Wheel”, una movimentata dichiarazione d’amore in chiave rock & roll; passando per “Catie”, con sonorità più blues e pure qualche rutto intonato. Nell’ottica di un ascolto creativo dopo “Catie”, si può scegliere di rimanere sullo stesso ritmo “Foxy Girl” e poi continuare col ritmo più rilassato di “Happy Time”, una vera e propria favola musicata (come capita spesso nella produzione di Johnston). Grazie all’effetto calmante di “Happy Time” si può affrontare “Mind Contorted” struggendosi fino ad arrivare alle lacrime, e infine apprezzare l’allegro di “Sad Sac & Tarzan” e poi perdersi in lungo e in largo tra “Lousy Weekend”, “Jelly Beans”, “Rock & Roll”, “Psycho Nightmare” .
Fun viene pubblicato nel 1994, dopo un percorso molto travagliato di Johnston che tra il 1989 e il 1992 trascorre più tempo in vari istituti mentali che in sala di registrazione. Anni particolarmente instabili a livello mentale per l’artista, segnati in maniera indelebile da un episodio sopra tutti: nel 1990 Johnston e il padre rientrano da un concerto di Daniel al Southwest Music Festival in Texas, e durante il volo verso la casa di famiglia Daniel estrae le chiavi del biposto pilotato dal padre, che fortunatamente riesce a salvare la vita ad entrambi con un atterraggio di emergenza.
È il momento più fragile della vita di Daniel, dove la mancanza di un trattamento adatto alla sua sindrome da bipolarismo gli fa sfuggire un contratto importante con l’Elektra Records (in pratica il passaggio ad una major). Johnston accusa l’etichetta statunitense di produrre il demonio (ovvero i Metallica). L’Elektra non la prende bene, e tutto il settore discografico lo abbandona: non vogliono scommettere su un maniaco-depresso. E poi una speranza, finalmente nel 1994 l’Atlantic Records decide di pubblicare Fun. Ci siamo, la musica di Daniel Johnston viene finalmente pubblicata da una big. Sembrerebbe il classico sogno americano divenuto realtà, ma non è così.
Fun è un fallimento totale, le 12000 copie vendute sono poche per l’Atlantic che decide di rescindere il contratto. Da un fallimento da un punto di vista discografico, in realtà arrivano nuovi stimoli. È di nuovo un buon momento, si ritorna forzatamente all’autoproduzione, ma serviranno sette anni prima che il musicista venga prodotto ancora.
Nel il 2001 esce finalmente Rejected Unknown, album che l’Atlantic aveva rispedito al mittente. Daniel viene preso per mano dall’etichetta giusta, la Gamma Records: il giusto nido per il successo all’artista americano, che non ha mai smesso per tutta la sua carriera di rimanere se stesso e di mostrarsi puro, interamente, offrendo il suo lato più tenero, fragile e tenebroso allo stesso tempo. Oltre al successo come musicista underground, soprattutto a ridosso del 2000, a Johnston viene anche conferito un grande riconoscimento come artista-disegnatore; i suoi dipinti esposti in diversi musei d’arte contemporanea tra Los Angeles, Londra, Parigi, Zurigo, Berlino, Bruxelles e altri ancora.
Johnston ci ricorda che l’arte si muove tra il tangibile e l’intangibile e non deve rispettare necessariamente canoni predefiniti. Da “Love Wheel” a “Rock ‘n’ Roll/EGA”, in ognuna delle diciotto tracce di Fun. Il cantantautore statunitense, scomparso lo scorso 10 settembre 2019, ci spinge a non rinunciare mai a sperimentare, sbagliare, tirare il fiato ma per prendere la rincorsa e provarci, in maniera ostinata, trovare il proprio antidoto al vuoto cosmico che a volte ci attanaglia, e soprattutto divertirsi. Fun.