Cosmo – Cosmotronic
Leggo per la prima volta il nome Cosmo su uno speciale estivo di un quotidiano che intervista sei tra gli artisti più rappresentativi di quella che chiama la New Wave Italiana: Brunori Sas, Calcutta, Motta, Tommaso Paradiso, Vasco Brondi e appunto Cosmo.
Quest’ultimo è l’unico di cui in quel momento non ho mai ascoltato neanche un pezzo; di alcuni sono innamorato (Brondi), di altri ho seguito con passione l’esplosione per poi iniziare a temerne i cedimenti (Thegiornalisti), gli altri li ascolto saltuariamente, ma Cosmo per me non significa ancora nulla, e il mio cervello lo registra come “uno tipo Calcutta o Brunori di cui se non ho ancora mai sentito nulla ci sarà un motivo”.
Sei mesi dopo
Due amici si ritrovano in mano due biglietti in più per il concerto di Cosmo all’Atlantico a Roma, e io divento quasi per inerzia uno dei beneficiari. Siccome non mi piace andare a un concerto senza aver mai ascoltato nulla dell’artista in questione, una mattina decido di andare a lavoro ascoltando Cosmotronic. La sensazione è solo una: sorpresa. Per uno che ha memorizzato Cosmo come “uno tipo Calcutta”, l’esplosione elettronica di Bentornato dopo l’inizio monologante non può definirsi altro che sorprendente. L’album inizia con Cosmo che quasi biascica al microfono una sorta di dichiarazione di intenti, una breve introduzione parlata, per poi prenderti di sorpresa con una pausa e la seguente inattesa apertura elettronica – un momento scioccante per chi sta tranquillamente aspettando l’autobus per andare a lavoro credendo di ascoltare l’ennesimo cantautore indie.
A quel punto Cosmo inizia a parlare direttamente con chi lo ascolta (nulla di strano per uno che per anni ha fatto il professore parallelamente alla carriera musicale), e lo fa con uno scopo preciso: riportare se stesso e te che lo ascolti con i piedi per terra: tu non vali niente, esattamente come me. Ma quando Cosmo vuole farti stare con i piedi per terra, è per un motivo ben preciso: per iniziare a ballare. Il secondo pezzo infatti mette il Turbo, e inizia a farti muovere, quasi contro la tua volontà, assecondando il ritmo e l’invito, irresistibile, a farsi un giro in giostra. Si arriva così a Sei la mia città, forse il pezzo più dichiaratamente pop della carriera di Cosmo e di certo quello che gli ha aperto la strada per raggiungere un pubblico più vasto.
Ma l’intero album è sapientemente giocato con questa alternanza tra musica elettronica e tendenze indie pop, sempre in bilico su quello che Cosmo stesso definisce un ponte, non del tutto mainstream ma nemmeno più del tutto underground. E così si va da pezzi più esplicitamente fedeli alla forma canzone, come Quando ho incontrato te, a veri e propri viaggi, uno dei quali indica addirittura il percorso – Ivrea Bangkok. Questo sdoppiamento è esplicitato anche da un particolare, che forse potrebbe sembrare insensato o anacronistico nell’era della fruizione su Spotify: la suddivisione in due dischi, il primo con i pezzi che più tendono a voler essere delle “canzoni”, il secondo con i pezzi più “difficili”, i viaggi che sconfinano nella techno. Ma in realtà è una suddivisione fluida, perché già nel primo disco di Cosmotronic, esattamente a metà, spunta un pezzo assolutamente difficile da inquadrare in generi ed etichette: la lunghissima e dadaista Tristan Zarra, piena di variazioni, di parole senza senso, di intermezzi strambi, come un bimbo (uno dei due figli di Cosmo) che racconta una fiaba, o qualcuno che gioca con un cellulare (proprio Calcutta, dice lo stesso Cosmo in una intervista), un miscuglio che a tratti può ricordare certe vecchie sperimentazioni di Franco Battiato con le frequenze radio (e a quanto pare il primo pezzo mai pubblicato da Cosmo è una cover di Battiato; non è un caso ovviamente).
Un anno dopo
Insomma, da quella mattina passata ascoltando Cosmotronic in bus tanto per non arrivare del tutto impreparato al concerto adesso è passato quasi un anno, e di Cosmo ho scoperto e ascoltato anche i due album precedenti, L’ultima festa e Disordine, in cui per chi era stato abbastanza bravo da scoprirlo c’erano già tutte le indicazioni di questo mix esplosivo tra musica elettronica e cantautorato che avrebbe trovato in Cosmotronic il suo equilibrio migliore. Ma soprattutto, al concerto arrivai talmente preparato che mi hanno dovuto trascinare via quasi con la forza; e con lo stesso gruppo di persone abbiamo inseguito Cosmo su e giù per l’Italia: perché alla fine quello che conta, per Cosmo e per chi lo ascolta, è l’esperienza dal vivo, la voglia di ballare, solo di ballare, perché la verità è quella che stai provando, in questo delirio in mezzo alla gente.