Scisma – Armstrong
Armstrong degli Scisma arriva nel 1999 ad infoltire la sezione alt-rock italiana dei negozi di dischi accanto ad Afterhours e Marlene Kuntz. Ma già dai primi ascolti appare chiaro il potenziale da instant classic che si sarebbe presto conquistato.
La band guidata da Paolo Benvegnù, forse senza accorgersene nemmeno, sta comodamente surfando su un’onda di rock alternativo di stampo puramente europeo. Una linea diritta li unirebbe ai dEUS di Tom Barman, e non sarebbe stato sbagliato ambire alla stessa grandezza.
Armstrong è un concept album in cui temi di filosofia e poesia vengono passati attraverso ingranaggi metallici per testarne la resistenza. Il fruitore ideale di questo album sarebbe uno di quei poeti infrarealisti che girano per i deserti del Messico nei romanzi di Roberto Bolaño.
È difficile infatti non pensare all’enunciazione di un manifesto quando, in “Giuseppe Pierri”, ci vengono offerti versi come: “Nessun compromesso / pensiero che s’attorciglia / distingue l’uomo dal cane / ma non lo rende migliore”, mentre il controcanto sussurra “C’est à dire / la bourgeoisie”.
L’apripista “Tungsteno” racchiude già tutto il mondo Scisma in soli tre minuti: basso incalzante, chitarre come mitra spianati, testo degno del futurismo di Marinetti: “Someday walking nelle piazze / Watchin’ cielo elettrico”, e poco dopo: “Painting mondo sopra tela / Zooming in Togliattigrad”.
C’è posto per vere e proprie ballate, come “L’universo” e “L’innocenza”, in cui le chitarre graffiano meno per far spazio a testi poetici ed evocativi: “L’universo è come sentire che chiami” diventa un mantra ripetuto varie volte, prima di essere travolti da una coda di chitarre noise à la Sonic Youth, firma riconoscibile di Giovanni Ferrario. Sono momenti come questi quelli che più riportano al mood dell’ottimo esordio degli Scisma, Rosemary Plexiglas uscito due anni prima.
Ancora declami filosofici in “Jetsons high speed” (“Io che sono significa nulla /… Sopravvivo al contrario di me”), con gli incroci di voci di Benvegnù e Sara Mazo su chitarre e violini in picchiata.
Forse per stemperare il clima teso, per dichiarare anche il gusto dell’auto-ironia, trovano posto pezzi come “Troppo poco intelligente”: groove costruito al basso da Giorgia Poli nelle strofe, e poi ritornello che apre alle chitarre a ringraziare il creatore di essere almeno un po’ stupidi, come dovremmo sempre fare tutti.
Chi come me ha avuto la fortuna di vederli dal vivo, per il tour che accompagnava il disco, non può scordarsi l’impatto della band sul palco, l’energia emanata in ogni nota dovuta alla palpabile intesa tra i membri della band. Ricordo vividamente in un minuscolo palco i sei membri della band, con la Mazo nel ruolo di femme fatale vestita di raso accanto a Benvegnù con un fin troppo elegante in completo gessato: entrambi fuori tempo, entrambi a voler uscire dal tempo.
L’esperienza Scisma si sarebbe interrotta da lì a poco; seguirà un EP nel 2015 e un non convintissimo tentativo di reunion, mentre è ricca la carriera da solista di Benvegnù, immeritatamente lontana da palchi importanti.
Armstrong però resta un disco temprato per resistere nel tempo, e non è facile spiegare quanto risulti ancora moderno, ancora avanti rispetto a tanta musica di questi anni.