Milo – So the flies don’t come
Ho scoperto il progetto Milo per caso una sera di qualche anno fa quando, in macchina rientrando a casa, un suo pezzo si aggirava tra le frequenze di una radio studentesca; il suo irresistibile flow è bastato a farmi approfondire ed ascoltare gli altri pezzi di So the flies don’t come.
Quella sera passava “Song about a Raygunn (an Ode to the Driver)”, pezzo caratterizzato da un folgorante rap su base elettronica up tempo, e pezzo che chiude il disco del 2015. Il testo, scoprì successivamente, un omaggio ad un altro rapper della scena hip-hop alternativa, Busdriver, con Milo entrambi lontani dalle scene più blasonate del genere musicale e da pretese volerci far soldi, come spiega quando dice “He only raps for a good reason, and getting rich isn’t one of those”.
Con So the flies… per la prima volta Milo (che di recente pubblica i suoi dischi sotto il nome R.A.P. Ferreira) offre la sua logorrea in rima alle basi elettroniche di Kenny Segal, una collaborazione che si salderà negli anni successivi.
Quando si incontrano nel 2015, Milo (anche col suo alter ego Scallops Hotel) è già ben inserito nella scena hip-hop indie americana, con un paio di dischi, mixtape e altri accessori del mestiere. Kenny Segal, da parte sua, a Los Angeles è uno dei produttori più quotati ormai dopo aver collaborato a svariati progetti hip hop, fornendo beats costruiti su loop che produce insieme alla sua crew dal vivo nel suo studio casalingo.
Le sue basi si reggono in piedi da sole (le trovate sulle piattaforme di streaming), ma Milo e le sue furiose allitterazioni sono il complemento perfetto per esaltarne lo stile originale.
La combinazione tra i suoi testi e le basi di Segal è davvero una miscela perfetta per questo disco, e non sarebbe esagerato definirlo un instant classic nella scena in cui si inserisce.
Allitterazioni e rime interne sono la colla che tiene insieme i brani del disco, e tra i tempi scomposti di Segal i testi di Milo sembrano avere enorme facilità ad aggrovigliarsi e mandare il loro messaggio.
E siccome l’hip hop è una storia di collettivi, e raramente prodotti di una singola persona, c’è sempre spazio per ospiti nel disco. In “Souvenir” una seconda voce condivide il palco, è quella di Hemlock Ernst, al secolo Sam Herring (che qualcuno di voi lo conoscerà come il cantante del gruppo indie rock dei Future Islands, qui nel suo ruolo di spalla rap, una passione parallela). I due discutono di letture (“Never read the Hagakure/Think you’d loan me a copy?/I’m still stuck on Murakami/Calvino looming”) e delle fonti di ispirazione del loro stile di rap.
Open Mike Eagle, altro nome sempre più quotato nel hip hop underground, passa ad offrire un contributo in “True Nen”, con omaggi al beat-maker (“Kenny Segal freaks the SP rather well”) e possibilità di pirocinesi (sic!).
“An Encyclopedia” (“…containing the Latin names of the ugliest parts of my insides…”) e la successiva “Going No Place” sono altri momenti di perfetto incontro tra i suoni soffusi dell’elettronica calda delle basi di Segal e la poesia tendente all’introspezione di Milo.
Un disco (poco più di 30 minuti) di musica che basta per immergersi negli scenari cupi dei ritmi offerti da Kenny Segal e da cui solo Milo può tirarci fuori con la sua metrica accelerata.