Aloha – Some Echoes
I confini della musica che normalmente definiamo indie, in maniera affrettata e riduttiva, sono estremamente porosi. Quando nel 2006 esce Some Echoes degli Aloha, ci sono tanti altri esempi di questa porosità, e sono quasi sempre testimonianze di qualità, di ottima ispirazione ed esecuzione.
Mi spiego meglio: se con i Rachel’s l’indie si impregna di classica e coi Karate si macchia di blues (per non parlare degli infiniti risvolti folk e country, le propaggini metal e prog…), gli Aloha arrivano a spostarsi verso altri orizzonti, verso una specie di spirito free jazz incastonato in quello che poteva risultare banale pop-rock indie.
Sarà che io un vibrafono in questo contesto musicale non lo avevo mai sentito, e invece è in prima fila in questo disco, il terzo della band americana. Che non sia solo un artificio per aumentare il livello di sofisticazione del suono si capisce facilmente: tutto il suono del disco, e il contesto in cui viene sviluppato, resta ben dentro i confini del pop-rock indipendente. Non a caso gli Aloha vengono fuori assieme a band come i Death cab for cutie o Of Montreal alla fine degli anni ‘90 sull’etichetta Polyvinyl Records.
La struttura di certe canzoni è forse quella che influisce di più in termini di sofisticazione, con diversi movimenti, code, riaperture. Tutto già presente nella apertura con “Brace yourself”. Un pop up-tempo che parla di messaggi dal futuro che passano attraverso linee telefoniche e pali della luce camuffati da pini.
“Your eyes” è il pezzo di amore che ci si aspetta, coi testi che parlano di una richiesta esplicita di lasciarsi andare affidandosi all’onestà che riflette dagli occhi degli innamorati. Abbandona le tue armi, rivela i tuoi segreti e non aver più paura finché i tuoi occhi sono allineati ai miei: apparentemente funziona così l’amore nelle canzonette indie.
Inizia con un morbido tappeto di organo “Ice storming” su cui il cantato si fonde mentre racconta storie di inverni freddi nel midwest. “If I lie down” è una pura ballata lenta che ci porta verso la fine del disco, arrivati qui ci siamo già innamorati del suono del vibrafono, degli organetti e tutto ciò che è molto specifico in questo disco.
Porosità e confini: gli Aloha sono andati dove ancora non c’era arrivato nessuno, creando suono molto originale, e così facendo si guadagnano un posto speciale per chi sa apprezzare questi tocchi originalità.
E allora spostiamoli e ridefiniamoli più spesso questi confini, perché l’universalità della musica, l’intrinseco richiamo alla contaminazione, non sia solo un luogo comune.