M83 – Dead cities, red seas & lost ghosts
È il 2003 e un duo francese di musica elettronica si fa notare con un disco che sorprende molti… e no, non sono i Daft Punk: si parla del progetto M83 [/m/ quatre-vingt-trois]. In Dead cities, red seas & lost ghosts, che è solo il secondo disco del progetto, si è riusciti ad ottenere dei risultati spettacolari interpretando coi mezzi propri della musica elettronica la struttura musicale definita dalle correnti shoegaze, new wave e noise degli anni ‘90, in una sorta di esperimento perfettamente riuscito. Per farvela facile: prendete i My Bloody Valentine col loro “wall of sound” e sostituite le chitarre e le distorsioni con synth e suoni digitalizzati. Ho reso l’idea?
Il progetto, nato a Parigi come duo, continua ancora oggi – con costante e discreto successo – sotto la gestione unica di uno dei fondatori, Anthony Gonzalez, con base a Los Angeles.
Ma restiamo nel 2003, il suono degli M83 è ancora in piena espansione come si evince in diversi punti di questo disco. I riferimenti new wave non sono difficili da cogliere all’apertura con Unrecorded, dove gli elementi prettamente elettronici (loop) decorano quel muro di rumore creato con chitarre e synth. Il risultato è un suono quasi a tre dimensioni che invade gli spazi, si fa denso, ottenendo come risultato, sia quando i ritmi sono serrati (come in 0078H) che nei passaggi più distensivi (Noise), una risonanza di vibrazione con l’ascoltatore.
Un disco sostanzialmente strumentale, in cui non mancano passaggi più ambient: In church, tappeto sonoro su impalcatura melodica di un organo, o ancora On a white lake near a green mountain, pezzo che potrebbe essere il parto di uno dei tanti produttori tedeschi che troviamo nel roster di etichette come la Morr Music.
Dead cities… risulta un disco molto cupo e claustrofobico, come nella traccia America dove il dialogo di un film horror degli anni ‘70 affoga nel flusso dei synth e delle chitarre trascinanti.
Nel corso degli anni, disco dopo disco, passando anche per occasioni commerciali come la colonna sonora di un blockbuster quale Oblivion, il progetto si è allontanato dai suoni che abbiamo descritto finora, aggiungendo quasi sempre il cantanto e assumendo un orientamento sempre più pop; eppure il nucleo sonoro sviluppato in Dead cities… resta presente, un’impalcatura troppo solida per disfarsene senza conseguenze.