Alvvays – S/T
Un racconto in nove brani di un amore iniziato, già finito, di insicurezze, tormenti e tanta melanconia, senza troppi sentimentalismi. Tutto questo si racchiude nell’album di debutto della band canadese Alvvays, album dal titolo omonimo, datato 2014.
Una proposta musicale indie pop che però, con sonorità nostalgiche, trasporta l’ascoltatore in un mondo più lontano degli anni 2000, un mondo passato fatto di delusioni e di sentimenti altalenanti. Il tutto accompagnato dalla voce vellutata e melanconica di Molly Rankin, cantante e chitarrista della band composta da Kerri MacLellan alla tastiera, Alec O’Hanley alla chitarra, Brian Murphy al basso e infine Sheridan Riley alla batteria.
I primi tre brani ci accompagnano in un mood timido, ma che, al contempo, travolge subito in questo stato di dolce tristezza. La voce, quasi titubante della cantante apre il primo pezzo Adult Diversion con le parole: “How do I get close to you? Even if you don’t notice as I admire you on the subway”, una ragazza timida che però nel brano Archie, marry me propone al suo Archie di sposarla, senza sentimentalismi o romanticismi inutili: “So honey take me by the hand and we can sign some papers, Forget the invitations, floral arrangements”, una proposta lucida, ma piena di amore che culmina nel brano Ones who love you. Ad un tratto il nostro stato di Sehnsucht, di una sorta di nostalgia verso un qualcosa che neanche noi sappiamo esattamente, viene interrotto e ci risvegliamo bruscamente con un ritmo più deciso e scandito da una batteria forte e presente in Next of Kin, la storia di un amante che non ha saputo salvarle il suo amato o la sua amata dall’annegare.
L’armonia dell’album rimane coerente ed omogenea. Nonostante questo gli ultimi brani diventano più cupi nel suono, sì nostalgico, ma anche più sporco e rabbioso, aspetto mancante nelle prime tracce.
Così in The Agency Group non si percepisce più la timidezza vocale che c’è in brani come in Party Police o Archie marry me, ma è una voce più decisa che sa quello che dice: “I’ll admit, I’ve been losing sleep, rifling through your toxicology, when you whisper you don’t think of me that way, when I mention you don’t mean that much to me”. I suoni si fanno più cupi in Dives e Atop a cake. Più sintetizzatori e un’atmosfera quasi celebrativa si ascoltano nell’ultimo brano Red Planet che rappresenta in pieno un brano conclusivo: più solenne nelle sonorità.
In questo album non c’è spazio per sogni o speranze, ma per un mondo nostalgico, senza orpelli o illusioni, una musica genuina e travolgente che accompagna chi l’ascolta in un viaggio sentimentale indie, quindi: un po’ triste, un po’ vintage.