Laurie Anderson – Big Science
Sono ormai passati tanti anni da quando incontrai per la prima volta Laurie Anderson, proprio con Big Science, e l’impressione è quella di non avere ancora finito di ascoltarlo, tanti sono gli strati, le idee, le sorprese.
E devo tutto a Teresa e Mario, cari amici che tanti anni fa mi parlarono di Laurie Anderson quando non era ancora il momento giusto. Avevo forse quattordici anni, e semplicemente cercavo altre cose, la mia impazienza mi aveva allora impedito di cadere per Laurie al primo ascolto di questo disco. Ma quando il momento giusto arrivò, la memoria di quella discussione a Montargano era ancora viva.
Big Science è un disco al tempo stesso immediato e impossibile; non è che si necessiti realmente di “preparazione” in senso stretto, ma la vastità di strati musicali e concettuali è tale da lasciare a volte imbambolati, quando la si riesce a intravedere; allo stesso modo quindi, un semplice “pezzo” da Album of the Week non potrà nemmeno lontanamente coprire la molteplicità di cose che ci sarebbero da dire su questo disco e su questa artista. È cosa da vere e proprie retrospettive, articoli accademici, più che da presentazione di un disco atta a coinvolgere e diffondere l’ascolto. Se vi sentite già pronti e doveste anche avere voglia potete cominciare da qui.
Quindi insomma come presentarvi questa storia?
Laurie Anderson è un’artista statunitense che all’inizio degli anni ottanta ha già sentito forte la necessità di mettere insieme le arti che praticava: la musica, la danza, la pittura, la poesia. Studia arti figurative e scultoree, ma il suo impegno concreto si diversifica nei modi più svariati, indipendentemente dai suoi studi. Verrà definita artista di avant-garde anche per la sua idea di commistione totale e performativa delle arti: United States Live e Home of the Brave, che vedranno la luce a partire dal 1984, sono spettacoli-tour in cui i giochi di luce e parole e video si mischiano alla musica, dando allo stesso tempo spazio a danze e performance teatrali sviluppate all’interno di scenografie che sono esse stesse vere e proprie installazioni artistiche, cangianti e metamorfiche. Laurie Anderson sviluppa un discorso artistico complesso, di cui la musica è solo una delle parti, per potere efficacemente descrivere il suo tempo e il suo mondo, gli Stati Uniti.
Big Science, che viene perlopiù sviluppato durante il 1981 e pubblicato nel 1982 per la Warner, è di fatto il primo album di Laurie Anderson, l’incipit discografico grazie al quale comincia a essere conosciuta al di fuori della nicchia di artisti e addetti ai lavori in cui si era già fatta notare, tra l’Europa e gli Stati Uniti; ed è con questo disco che inizia l’analisi e il racconto di Laurie, che verrà poi sviluppato nei decenni seguenti.
Quando si parla di Laurie Anderson come musicista, si parla di una pioniera coraggiosa della musica elettronica – forse una delle prime a immaginarne i risvolti elettro-pop.
Laurie è però anche una violinista, quindi non esita a variare forma e funzione dello strumento per arrivare a creare un violino elettrico che attraverso un registratore a cassetta incorporato genera dei loop a partire da ciò che lei suona, per poi usarlo come base di nuovi strati, o livelli, di musica, come ad esempio può essere chiaramente sentito a partire dalla metà di Born, Never Asked. Anderson tende a parlare sui suoi pezzi, piuttosto che cantare, tranne in alcuni casi in particolare, come O Superman, che di questo album è stato anche il “singolo”, nonché probabilmente il primo pezzo a essere concepito, ancora durante la fine degli anni settanta. È difficile descrivere esattamente in parole la natura e l’effetto di questa musica, conviene davvero partire dall’ascolto e poi cominciare a porsi, eventualmente dei problemi di interpretazione, inevitabilmente personale, non sono situazioni in cui si possa superficialmente approssimare a un senso troppo comune.
Giusto per darvi una ultima coordinata interna – a parte i memorabili guaiti canini integrati magistralmente a una sorta di ukulele/charango nella finale Walk The Dog – fate particolare attenzione alla combinazione di Let X=X e It Tango, di fatto inscindibili l’una dall’altra: si parte da una cartolina con tanto di XXXOOO per finire in una discussione circolare, dove basi ritmiche, riff di sintetizzatori ed effetti vari si incastrano armonicamente l’uno all’altro in una danza piena di accenti. Un po’ come l’effetto dell’intero album, forse: «isn’t it just like a woman?».