I Peggiori Bar – Episodio 1 – L’Étoile De Villa Pouca

disegno di Irenea Privitera

 

I Peggiori Bar è il primo programma radio a base di malto d’orzo e disagio. Due improbabili eroi, alla ricerca di ultime birre si aggirano per Bruxelles, per conoscere e raccontare le facce che il tempo ha grattato, scartavetrato e risputato dalla sua bocca infernale. Riusciranno i nostri eroi a rimanere illesi fino alla fine della prima puntata?

Passeggiamo di sera, come viandanti infreddoliti, avvolti nella coltre di freddo, la prima di questo autunno incredibilmente caldo. Cartello esterno. “La direzione si riserva il diritto di rifiutare l’entrata.” Roba da night club con il servizio d’ordine total black che ti osserva ringhioso. Una roba che non ti aspetti da un apparente baretto dall’esotismo lusitano. Siamo a Saint-Gilles, Rue du Fort. A pochi passi dal più noto Verschueren, dal Piano Fabriek, piena movida del Parvis.

Ci cacceranno? Saremo abbastanza cool da poter entrare? Sfidiamo la sorte. Non possiamo rinunciare alla meta prescelta da I Peggiori Bar. Apriamo la porta de L’Étoile de Villa Pouca.

Rosso, rosso e ancora rosso. L’imbottitura delle sedie. Il parato coi diamanti incastonati in un motivo dorato. La bandiera dei Red Devils made in Jupiler. Luci al neon e festoni abbandonati lì da chissà quale anniversario. All’ingresso un ferro di cavallo e la legge che condanna l’ubriacatura. Led natalizi verde smagliante e pareti tappezzate di rosso a tema floreale.

Ordiniamo il classico: due vingt-cinq (Jupiler da 25 cl) e che dio ce la mandi buona. Al bancone un uomo sulla cinquantina. Testa rasata, stazza compatta e poche, pochissime parole. «Potete parlare con mia moglie», ci rimbalza alla prima domanda. È seduta sulla sedia. Rossa. Indossa una felpa larga. Rossa anche quella. Eccola qui: La Direzione. Di origini bulgare, ha rilevato l’Étoile appena cinque anni fa, lasciando intatto il nome portoghese del bar. Ci interroghiamo sui misteriosi personaggi che potrebbero disturbare la quiete del Villa Pauca. Abuso di alcool? Abuso di droghe? Vogliosi di bagarre? «Ci piace restare in famigghia», precisa la Direzione – riservatezza degna di Pizzo Calabro.

Il bar è semi-deserto. Alla télè passa la partita dell’Anderlecht. È giovedì. Giornata di competizioni calcistische di secondo rango. Noi non trasmettiamo quasi mai le partite, precisa. È solo lui che le guarda. Solo lui, ovvero René: il volto risucchiato dal tempo. La voce rauca aspirata dalle sigarette. E un difetto evidente di pronuncia. «Ho la dentiera», si giustifica a mezza voce. Sorride Raneri, che per curarsi i denti ha appena stipulato un mutuo. Ed è subito fratellanza. La nostalgia dilaga (strepita) negli occhi di René. Ora, secondo lui, ci sono solo immigrati e bar fighetti. Prima tutt’intorno erano brasserie belghe. Quando ancora lavorava, la prima birra era d’office alle 6.30 del mattino.

A microfoni spenti, proviamo a riproporre l’argomento “diritto d’ingresso”. Posando il dito sotto l’occhio destro, con fare d’intesa, La Direzione confessa laconica:
«quando si fa questo mestiere, bisogna essere anche degli psicologi». A questo punto siamo terrorizzati. Ma secondo voi cosa avrà capito di noi la Direzione/Psicologa?
Due idioti? Due sperimentatori della sociologia contemporanea? Due che faranno una brutta fine con le loro domande nei bar sbagliati? In ogni caso la conversazione è coupé. La Direzione si rifugia nella più classica delle fughe ed esce a fumare. Ma dov’è il resto della famiglia? Passate le 20 entra Mathilde. Imbacuccata con un cappello in lana nerazzurro. In mano un mazzo di margherite gialle. Le poggia a terra e ordina un copo di bianco. Ora, fidarsi del vino in Belgio è un gesto tra azzardo e fiducia. Ma farlo in un peggiore bar, indica un misto di sprezzante noncuranza e follia. Nonché totale assenza di papille gustative.

Evitiamo connotazioni radical chic sul vino. Per noi resta comunque eroica. Mathilde si unisce a Nathalie Imbruglia. In un universo parallelo cantano insieme Torn. Arrivano altri avventori. Una ragazzo dal viso sgualcito dall’acne e una spessa fascia di pile che le tiene su i capelli corvini. Una sessantenne platinata e il rossetto bene in evidenza. Un bel tipo con la barba incolta sopra il metro e ottanta. Pausa sigaretta anche per noi. Il primo freddo ci strizza i capezzoli. Ci raggiunge Mathilde e ci porta per mano nel suo vagabondare. Viaggiamo con lei in bus. Etterbeek, dov’è nata e dove non metteva piede da quando aveva trent’anni. Oggi ne avrà ameno cinquanta. Piccola, grande Bruxelles. Con le sue barriere invisibili. Mathilde ci trascina nei suoi viaggi. In un’Europa meno unita, più diversificata. Atterriamo a Cracovia, a Lisbona, a Tallinn. Atterriamo in un tempo in cui ogni città aveva il suo odore, i suoi bar caratteristici, la sua moneta.

Arriva “Codino”, un bell’uomo sulla cinquantina. Giacca di pelle e orecchino. Sembra John Travolta travestito da James Dean che ha inghiottito Christopher Lloyd. Le stampa un bacio sulla bocca. Wow. Questa non ce l’aspettavamo. Silenzio glaciale, nell’aria svolazzano farfalle, romanticismo che aumenta esponenzialmente la nostra voglia di sapere!

Mathilde ci tiene a precisare, «ci siamo sempre piaciuti, ma non è mai successo nulla. Forse siamo troppo fieri. Ci cerchiamo, giochiamo, ma finiamo col graffiarci. Come i gatti».

Gettiamo un’ultima occhiata all’interno. Eccola la famiglia. Insieme al bancone a sorseggiare Jupiler e vino da cantina.

Ecco cosa siamo, in fondo, cara Direzione. Gli umili confessori di voci inascoltate, buoni per le serate storte, le ubriacature, i buoni propositi senza seguito.
Senza Ave Maria né assoluzioni da impartire. Cantori stonati di epoche e storie che si incrociano, si lambiscono, e ruttano sull’uscio di Villa Pouca.

Una famiglia senza troppi vizi, né giudizi. Senza l’ombra di una moda, di un successo.  Un inno muto allo stare insieme senza pretese e a bere alcol scadente, finché Jupiler non ci separi.

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