Ryan Adams – Heartbreaker

Heartbreaker di Ryan Adams è un disco a carne cruda che entra dritto nelle vene di chi lo ascolta. È la voce country-soul, profonda e potente, di una generazione affamata di desiderio e bellezza che sfida spavalda lo scorrere corrosivo del tempo giocando a correre più veloce di lui, ma destinata a perdere ai dadi col destino. È il disco delle nebbie crepuscolari del sentimento ridotto a brandelli, dei quattro stracci in mano e degli occhi lividi e gonfi di aborti di felicità, appesantiti dalla sabbia del deserto in sospensione.

Con l’abilità del trovatore che si ispira alle liriche di Allen Ginsberg e di Oscar Wilde e ai rimatori provenzali Dylan e Morrissey, accompagnati dalla Rickenbacker di Jim McGuinn, Ryan Adams, con un piglio tutto suo, filtra quel mondo.

Questo trovatore della Carolina del Nord offre una propria personale interpretazione del migliore country-pop e con la sua voce grunge e profonda canta nelle quindici tracce del disco le pareti della prigione, il cielo scrosciante di chiodi e un’anima che sente e cerca riparo. È un disco di verità, che sfida il perbenismo e crea scandali di libertà e che nello stesso tempo, armato di chitarre, taccuini e parole, riesce a sentire e a percepire la bellezza nelle cose, laddove altri vedono solo curve a gomito e luci della ribalta.

“To be young (is to be sad, is to be high)” è un pezzo del migliore country-pop alla Dylan con una chitarra folk di accompagnamento e una elettrica a contorno, che in tre parole sintetizza cosa significa essere giovani: “quindi vuoi ascoltare una canzone triste o una canzone pietosamente triste? Perché questo ragazzo non fa canzoni felici”. “My Winding Wheel” imbraccia la chitarra del country triste e malinconico alla Byrds e percorre la rotta senza bussola “perché mi sento proprio come una mappa, senza un solo posto interessante dove andare”.

“Amy”, uno dei pezzi più belli del disco, apre su una linea di basso che fa da contraltare all’intera melodia e chiude con un accompagnamento di violini, preludio di una bellezza non ancora sfiorita. Al ritorno a casa, nella Carolina del Nord, Adams dedica la nostalgica “Oh my Sweet Carolina”, un country-pop accompagnato dal controcanto di una dolce voce femminile e da un bellissimo intermezzo di pianoforte, rifugio di un’anima che è finita “con le tasche piene di polvere”.

Come pick me up, perfetta in ogni suo dettaglio, “To be the one”, “Call me on your way back home” sono i pezzi centrali del disco, con una chiara impronta alla Dylan e un’armonica in bocca, su cui si innesta una voce calda e possente, dolce accompagnamento nelle viscere di chi canta: “ragazzo, quelle ali sono fatte di cera”. Con “Don’t ask for the water” torna il country-pop intimo alla Dylan di “It ain’t me babe” che avvolge la voce stentorea di Adams: “non chiederle l’acqua, perché lei ti insegnerà a piangere”.

E sarà “In my time of need”, “quando il cielo non può offrirmi nessuno, che verrò per te”. A pelo di voce sussurra: “lavoro con queste mani per sanguinare, perché ho bocche da sfamare e ho nascosto 15 dollari sopra i fornelli. Vuoi dirmi che un po’ di pioggia verrà?”. Chiude il disco “Sweet Lil Gal”, in un magistrale assolo di chitarra e un piano in coda.

Cala il silenzio. Ma “un fresco vento che sala il viso rimane”.

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