Piero Umiliani (Moggi)- Tra Scienza E Fantascienza

Immaginare mondi futuri ed ipotetici per proiettarvi il nostro e meglio descriverlo è una raffinata operazione nella quale la fantascienza è impegnata sin dai suoi inizi. Che la fantascienza rifletta di volta in volta la tensione verso l’ignoto o, a fasi alterne, la fiducia o la sfiducia verso il progresso; che dissimuli il presente per meglio descriverne l’organizzazione della società – la Trilogia delle Fondazioni di Asimov del 1951 o La nebulosa di Andromeda del russo Efremov del 1957; che lo faccia nelle forme classiche della space opera o più dissacranti alla Philippe Dick, calca pur sempre nero su bianco una proiezione: quella dei rapporti dell’uomo con i suoi simili, con le sue forme organizzative e con la scienza.

All’inizio degli anni ‘70, in piena competizione da guerra fredda tra Stati Uniti e Urss, l’Enterprise di Star Trek si è già spinta al confine della galassia, Spock e il tenente Tormolen sono già atterrati su Psi 2000, Luke Skywalker ha compiuto le prime missioni e Kubrick ha lanciato nel 1968 Odissea nello spazio, dal romanzo di Clarke; qualche anno prima, sul fronte sovietico, Sherstobitov ha mandato in orbita la navicella spaziale Tantra nel film tratto dal romanzo di Efremov. Space Oddity e il personaggio di Ziggy Stardust sono ben presenti sulla scena musicale sin dal 1972, preceduti dalle prime sperimentazioni musicali verso sonorità psichedeliche che, dai Beatles a Brian Eno con i Roxy Music sino a Giorgio Moroder (nel capolavoro sperimentale Son of My Father), hanno fatto la loro comparsa nel panorama musicale.

In questo contesto, nel 1975 Piero Umiliani lancia, sotto lo pseudonimo di Moggi e per la propria casa discografica Omicron, il disco Tra Scienza e Fantascienza, in cui reinterpreta in musica, in chiave elettronica, alcune delle questioni poste da questa letteratura: immagina i suoni metallici, vibranti, a tratti ossessivi, di una società del futuro, che però è anche un po’ la nostra.

Atterra in un pianeta che il mondo musicale, rispetto a quello letterario, avvicina con apprezzabile ritardo: gli è di grande aiuto la commercializzazione dei Moog, delle tastiere elettroniche e del VCS3, che con tecniche diverse possono modulare, filtrare e produrre combinazioni di suoni sempre diverse.

Il disco è uno splendido esempio di musica d’avanguardia e di una qualità musicale ottenuta con lo studio e il perfezionamento tecnico di una strumentazione sempre più avanzata. Le sonorità del nostro mondo vengono filtrate, modificate e modulate in modo da ottenere sonorità d’avanguardia: è uno specchio del nostro mondo musicale riflesso nel futuro.

L’album si compone di quindici tracce, la maggior parte giocose e leggere, che seguono a ruota i personaggi di questa società futura. Il disco si apre con “Cowboy spaziale”, con uno squillo di trombe in synth, seguito da “Officina stellare”, un blues al sintetizzatore che richiama lo stridio degli attrezzi che si affastellano sul tavolo di una officina. “Danza galattica” simula sonorità che sembrano provenire dal fondo del mare e “Tarantellaccia” è un’allegra tarantella dalle percussioni psichedeliche; ci porta dritti al “Saltarello marziano”, che ripete ossessivamente suoni e vibrazioni filtrati dalla strumentazione elettronica. La splendida “Soundmaker Blues” è invece una rivisitazione in chiave elettronica del blues malinconico di Harlem che canta gli ultimi. “Killer Robot” chiude il disco, in forma un po’ enigmatica, con le percussioni che fanno da protagoniste.

Umiliani ci apre così mondi sconosciuti. Le sonorità ipnotiche di questo nuovo mondo, le vibrazioni moderne e sperimentali, insieme agli arrangiamenti al tempo stesso minimali e complessi, ci proiettano verso una avanguardia musicale che vede la nostra musica sotto altri occhi: quelli di un alieno.

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