Negativland – It’s All In Your Head
Soffiano venti di guerra sui confini orientali dell’Europa e, come spesso accade nella storia, l’orrore e le macerie del mondo in frantumi, per poterli osservare e raccontare, si trasformano in distopia.
I Negativland, artisti e attivisti di Berkley esorditi nel 1979 come una delle prime formazioni musicali di collage sonoro, portano in scena una pellicola di avanguardia sonora costruita sul patchworking di suoni eterogenei, riarrangiati su frammenti musicali e proiettati su una dimensione surreale e iperbolica.
I diciannove pezzi, spesso stridenti e dal grande impatto evocativo, ci riportano sugli scenari bellici attraverso il filtro distopico. Sulla 35 millimetri musicale, da ascoltare come lavoro di avanguardia, i ragazzi il cui progetto prende il nome da un pezzo dei Neu! – gruppo tedesco di krautrock degli anni ‘70 – riarrangiano materiali originali e frammenti musicali e li montano sui suoni del mondo reale, in un ensemble armonico solo a tratti: frammenti di pezzi pop, cori e intermezzi degli anni ‘70. Con abili dissonanze proiettano le inquietudini e le ansie del mondo moderno, con domande argute e impertinenti: l’egemonia, la propaganda e il controllo del potere, con la guerra di sottofondo che si alterna a rimandi ossimorici. Percezione e realtà, ciò che è e ciò che appare, trasfigurate dalle voci della propaganda, sono il punto di osservazione di questo lavoro.
La propaganda – screditata dall’occhio dissacrante del regista, che però non si lesina nel raccontarne i proseliti – è una ritualità quasi religiosa del potere inteso in senso lato. “Non pensare, accetta ciò che è, accetta ciò che l’autorità dice che è vero”, si ascolta in “Alone with just a story”. “Time Can Do So Much”, con un ghigno al pop-soul anni ‘60 e al più celebre verso di “Unchained Melody” dei Righteous Brothers, si interroga su quale sia il significato della vita e gli sovrappone il controcanto delle mistificazioni costruite socialmente. Le voci e i rumori del mondo reale “grande e terribile” si susseguono in tutto il disco e offrono un’impietosa rappresentazione iperbolica dei simulacri religiosi che implodono nel loro stesso massimalismo.
Le contraddizioni della propaganda religiosa del potere implodono infine sullo stesso scenario di guerra. Il coro di voci bianche intona “God only knows” di Brian Wilson sul rimbombo di rumori di guerra in “Push the Button”. È palpabile la tensione del crudo gioco di accostamenti ossimorici quando la miccia, quale che sia il motivo, sta per accendersi. Il fragore tenta di assopirlo la stessa propaganda, che a sua volta giustifica e rincuora chi il potere dovrà subirlo. “Mortali, sento (I feel) che dovrebbero essere morti adesso. Questo è il motivo per il quale loro credono che non moriranno”.
“È tutto nella tua testa”: è lì che la stessa propaganda si spegne.