Manu Chao – Clandestino

Solo voy con mi pena
sola va mi condena
correr es mi destino
por no llevar papel

Si apre con queste parole Clandestino, prima traccia dell’omonimo album composto da José-Manuel Thomas Arthur Chao e registrato con la sua band nel 1998. Tema attualissimo dell’album è la figura maledetta del clandestino che, braccato dalla legge, è costretto a fuggire da casa passando per i tunnel di Tijuana alla ricerca del sogno americano. Dopo aver militato in diversi gruppi tra il 1980 e il 1994, e aver registrato quattro album con i Mano Negra, Manu Chao decide di fondare insieme al fratello una nuova band, la Radio Bemba Sound System, e di lanciarsi con il primo album solistico, Clandestino. Quel che ascoltiamo in questo disco è un artista maturo di 37 anni, che ha vissuto il mondo e che canta in 8 lingue, accompagnato da percussioni, chitarre, tastiere e strumenti a fiato.

La seconda traccia è Desaparesidos, ossia gli “scomparsi”, coloro che vennero fatti sparire dai regimi militari latino-americani per motivi politici.

Mi chiamano il desaparecido,
che quando arriva già se ne è andato,
volando vengo,
volando vado,
in fretta in fretta a rotta di collo

Manu Chao rende così omaggio a tutti coloro che sono costretti alla fuga per non morire, trattando un argomento che lo coinvolge in prima persona. Il padre – scrittore e giornalista galiziano scomodo alla dittatura di Franco – fu infatti costretto a fuggire con tutta la famiglia a Parigi poiché il Generalísimo ne aveva ordinato l’arresto e l’uccisione.  Le tracce 3 e 4 sono collegate musicalmente dal reggae elettronico di Bongo Song che fa da sottofondo anche alla particolarissima Je ne t’aime plus. Scelta profonda ed ingannevole in quanto viene proposto un testo duro ma cantato sottovoce in un dolcissimo francese e ammorbidito ulteriormente da cori femminili:

Je ne t’aime plus,
Mon amour,
Je ne t’aime plus,
touts le jours
[aggiungendo]
talvolta preferirei morire per non rivederti mai più, talvolta preferirei morire per non far più nulla

Bongo Bong invece centra in pieno lo stile gioioso del reggae, anche se con un velo di protesta. Il gruppo inventa una curiosa storia dove il protagonista è il figlio della Regina del Mambo e del Re del Congo, vive nella giungla ed è a sua volta il Re del Bongo. Ma nelle chiassose grandi città nessuno apprezza il suo genere e solo le scimmie lo invidiano e vorrebbero essere al suo posto di King of the Bongo. La prima versione di Bongo Bong è stata registrata dai Mano Negra nel 1991, ma nella versione contenuta in Clandestino vengono messi da parte i riferimenti della specifica protesta del gruppo sul passaggio delle masse alla musica da discoteca povera di energia:

Cause people like disco,
And people like house,
That’s why they don’t applause,
When I’m bangin’ on my bongo
[aggiungendo]
But I don’t like no disco,
And I don’t like the house,
‘Cause I’m born to rock,
I’m born to pogo

Mentira e Luna y Sol (tracce 5-8) parlano della menzogna, domandandosi “tutto è bugia, anche la verità, tutto bugia perché lo sarà?” e forse con la traccia sei, Lagrimas de oro, l’artista cerca di chiedere scusa per la cattiveria nel mondo:

Tú no tienes la culpa mi amor,
Que el mundo sea tan feo

Cuore dell’album sono Mama call (traccia 7) e Por el Suelo (9), canzoni dedicate alla Madre e alla Madre Terra, abbandonata dal clandestino la prima e maltrattata dagli uomini la seconda, entrambe cantate in uno stile sillabico.

La traccia 10 è Welcome to Tijuana canzone sulla città messicana, famosa per i vizi (“Tequila, sexo, marijuana“) e per l’essere la porta d’ingresso verso gli Stati Uniti, dove milioni di sudamericani partono alla ricerca di fortuna, vendendosi ai coyote per oltrepassare la frontiera. La traccia 14 è invece una melodiosa ninna nanna in portoghese, quello parlato in Brasile, Minha Galera. Penultima traccia, La despedida, è un inno dedicato a tutte quelle persone che hanno perso una persona cara, che passano il tempo convincendosi di essersi liberati dal ricordo doloroso e di essere in pace. Ma una voce fuori campo canta gli ultimi otto versi, piangendo quell’amore profondo ormai perduto:

Ti aspetto sempre mio amore,
ogni ora,
ogni giorno,
ogni minuto che vivo

Chiude l’album El Viento, quel soffio di fiato che vola libero per la strada e non ha frontiere, quello che rappresenta il sogno del clandestino, costretto perennemente alla fuga dalle autorità.

Clandestino è un album tutto da scoprire, leggero nonostante le 15 tracce e i temi trattati. Il termine coniato dal gruppo per descrivere il proprio genere musicale è Patchanka, che è un modo colloquiale per dire “festa”. Manu Chao e la sua Radio Bemba Sound System cullano l’ascoltatore verso un mondo utopico di festa gioia e libertà. Quindi vivetelo tutto, ogni parola, ogni nota, ogni respiro.

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