Su Tissue – Salon De Musique

La parabola artistica di Su Tissue parla di progetti poco più che embrionali ma che forse avrebbero potuto essere qualcosa di più; così come ne descrive l’estrema riservatezza, a tratti maniacale.

Susan “Sue” McLane, in arte Su Tissue,  è stata cantante, compositrice e attrice. Tutti ruoli che ha ricoperto nel mondo culturale della costa ovest americana, tra la fine degli anni Settanta e la metà degli Ottanta.  Circa nove anni, questo il tempo per cui ha retto questa piccola meteora nell’attraversare il panorama musicale californiano, e attorno a cui si è recentemente formato un piccolo culto online, basato sulla ricerca di informazioni su di lei e sulla sua improvvisa scomparsa. Perché Su Tissue è sparita, sebbene metaforicamente. 

Ma andiamo con ordine.

È il 1980 quando al Saturday Night Live viene trasmesso il video del singolo Gidget Goes To Hell dei Suburban Lawns,  gruppo post-punk losangelino di cui Su Tissue era diventata voce principale. La clip è diretta da Jonathan Demme (diversi anni prima del successo della sua trasposizione per il grande schermo de Il Silenzio degli innocenti).

Un esordio seguito nel 1981 dalla pubblicazione del loro primo (e unico) LP omonimo per la I.R.S. Records (l’etichetta che lanciò i R.E.M., per farsi un’idea). È con il brano Janitor che la band diventa più conosciuta, anche per via del ritornello basato su un malinteso (“I’m a Janitor / oh my genitals”) avvenuto nel corso di una discussione tra Su e un conoscente. 

Due anni dopo i Suburban Lawns rilasciano l’EP Baby, per poi sciogliersi. Parte della formazione deciderà di fondare un nuovo gruppo (The Lawns), dalla vita breve. Su/Sue proseguirà la sua carriera artistica per qualche anno ancora: si iscrive al Berklee College of Music per studiare piano e nel 1984 pubblica la sua unica opera solista, Salon De Musique. Infine un’altra piccola parte nel film Qualcosa di travolgente, sempre con Demme alla regia. Poi più nulla: siamo nel 1986 e Su Tissue torna ad essere Susan McLane, o almeno sembrerebbe. 

Si forma subito un seguito attorno al suo “culto” (e una pagina facebook dal titolo “Whatever became of Su Tissue?”), e cominciano a saltare fuori diverse informazioni: sembra che Su/Sue abbia intrapreso la carriera giuridica, che abbia addirittura cambiato nome. Ma scavando tra alcuni commenti sul web sembra anche possibile che tutte queste informazioni, o comunque buona parte di esse, siano inventate. Per quel che riguarda la vita privata di questo personaggio il condizionale dunque è d’obbligo. 

Quello che è certo è che di lei rimane poco e resta quindi una figura decisamente fantasmatica, sfuggente, che però ha fatto in tempo a lasciare un’espressione musicale interamente propria: appunto Salon de Musique.

Un disco estraniante, ipnotico e minimalista, che si sviluppa su tre movimenti di circa una decina di minuti ciascuno. A farla da padrone è un loop di pianoforte concitato ed incalzante, che accompagna per intero i tre movimenti, e che varia con essi mantenendo però la stessa struttura di fondo. Ad un primo ascolto, e forse anche ai successivi, può risultare ostico, visceralmente ansiogeno, ma il segreto di Salon De Musique sta forse proprio qui, nella sua ripetizione ossessiva per tutta la durata dell’album, e soprattutto nelle variazioni da un movimento all’altro.

Dai synth di 2nd movement (il pezzo che apre il disco [sic.]) si passa al sassofono inquieto di Train Station, fino alla traccia che dà il nome all’album in cui Su Tissue si esibisce in una eterea performance vocale scat. Salon De Musique è un album a cui, personalmente, non è possibile obiettare nulla, se non forse essere rimasto figlio unico, dato il grande potenziale mostrato. Ma forse anche questo è il bello dell’album.

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