Savages – Adore Life
It’s about bass, guitars, drums and vocals.
It’s about opening-out and never, ever dying.
But most of all it’s about love, every kind of love.
Love is the answer.
Pugni nello stomaco che parlano d’amore disperato al quale si cerca di dare una risposta. Sembra anche che parlino a tutte noi che ascoltiamo: Ain’t you glad it’s you? Non sei contenta di averci (ri)trovate?
Così si apre il secondo album di quattro matte incontratesi a Londra che sono talmente genuine e rumorose da chiamarsi selvagge, Savages. Sono bellissime e si completano alla perfezionione nel loro stile simile e nelle piccole differenze che le caratterizzano singolarmente. Jehnny, Fay, Gemma, Ayse formano un gruppo perfetto e non potevano non creare un album spettacolare.
Adore Life esce nel 2016, a tre anni di distanza dal primo Silence Yourself. Era un pò una prova da superare data l’intelligenza del sound e la forza già dimostrate. Gli album sono un pò come persone, almeno così mi piace vederli/ascoltarli. Quando cominciano a parlare con te e scopri come sono, che pensano, poi si aprono e ti raccontano cose che rimandano a quello che sai già; oppure ti stupiscono profumando di nuovo – gli album belli, s’intende. Ecco, ascoltando quest’album ho conosciuto una adolescente, che ha già visto molto, che di certo ha del genio e una potenza spaventosa, hard, estrema; che riconosce l’importanza del rumore e del silenzio. Che conosce le cose che mi risuonavano già nelle orecchie, e mi conquista per la freschezza con cui squillano di “mai sentito”.
Adore Life è una donna innamorata che parla d’amore, d’amare tutto, dal grottesco alla nostalgia, che fa l’amore. E così si spoglia, consapevole, canzone dopo canzone, di essere più vulnerabile – alle critiche? – meno spavalda che in precedenza. Ma è decisa, sa essere dannatamente casinista nella sua finta maturità. È un casino insomma.
Cambiamenti di stato e di note si fanno meno repentini nella prima parte, con i rulli di batteria di Sad Person a chitarra distorta, però, quasi come se lei volesse proteggersi dalla profondità dei versi. Love is a disease | The strongest addiction I know è la confessione di una persona triste che realizza che non ci sarebbe vita se non ci fossero amore e disperazione per lo stesso, oltre che l’essenza vibrante del flirtare. E in un inizio bellissimo, si rifugia nella culla del basso erotico di Ayse, che ha tutto della vita e della coscienza della necessaria calma per ritrovare un equilibrio. Con un ritornello impressionante in cui l’anima è la voce, mentre il corpo polistrumentale si muove e fa per elevarsi al pensiero, quasi metafisico, che “potrei morire forse domani, per questo ho bisogno di dire Io adoro la vita”. Ecco che l’adolescente si fa pensatrice. La stessa Jehnny dice di amare questa canzone, e non crede di poter arrivare a tanto con le sue colleghe, in futuro. È una ballata magica che vede esplicitare la sua immagine cristallina nella cover: il pugno (!) di Jehnny, anelli alle dita, bianco e nero. Immobile e dirompente allo stesso tempo. E come il pugno, è la voce di Jehnny a essere incontrastabilmente messa in rilievo in ogni brano, questo compreso.
I need something new, ci dicono esattamente a metà del disco. Sapendo che amare significa prima di tutto amare la ricerca, il movimento. Chiedere e avere in cambio la novità e rifiutare la banalità. When in love e Surrender niente hanno di banale; vibranti, distorte, da concerto ansioso e passionale. T.I.W.Y.G. super loud e noisy quanto basta per scapocciare – Fay ci insegna a farlo battendo forte su tutto quello che c’ha davanti. Fino alla magnifica Mechanics che chiude una pièce musicale in cui a farla da padrone è l’anima, quella voce! Questa, nel suo essere intensa, è a dir poco ipnotica, anche nei suoi monologhi, famosi ai concerti. Alla frontwoman riescono abbastanza facilmente essendo di formazione attrice di teatro, in realtà, e Mechanics offre quanto di meglio ci sia nella sua arte che si combina a perfezione attraverso i rumori della chitarra distorta di Gemma.
Ma non ci si rassegna alla chiusura del sipario, e quindi non si può che ascoltarlo di nuovo, tutto, dall’inizio. Rivivere quel loop sonoro come la neve che tutto ricopre e che esalta ogni singolo rumore.
Eppure c’è molto dark, nero è il colore. Lo stesso di Siouxsie and the Banshees, o dei Joy Division che ci sono, vivono, in questo album, così come un po’ pure i Sonic Youth e PJ Harvey.
Quello delle Savages è l’UK post-punk che sa cogliere tratti bellissimi e destabilizzanti della vita. Sebbene, come prevedibile non hanno mai voluto che si etichettasse qualcosa che in realtà è selvaggio. Queste hanno nell’esplosione e nell’implosione, una forza centrifuga.
Le selvagge pare si stiano prendendo del tempo per progetti personali che hanno dell’interessante. Tipo Fay e Ayse con 180db. Jehnny nel frattempo ha collaborato con Trentemøller e Gorillaz.
Si aspetterebbe in teoria qualcosa di nuovo. Io per lo meno aspetto con ansia di vederle dal vivo: mi sono sfuggite ben due volte per un pelo. Forse però è difficile credere che si possa avere qualcosa di migliore rispetto a Adore Life e a Silence Yourself , due facce di una stessa medaglia. Due corpi di una stessa anima.
Francamente, mi farei contraddire volentieri. D’altronde, I am an imbecil. E si, le adoro.