Northpole – S/T

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Ho conosciuto i Northpole una serata di metà dicembre del 2009. In un locale in collina degli amici tenevano la consueta puntata radio in filodiffusione in cui si parlava della scena musicale italiana degli anni ’00. Col susseguirsi degli ascolti, il pubblico accorso non tarda a farsi vivace partecipe finché l’intro di un pezzo fino a quel momento sconosciuto – “La distanza” dei Northpole appunto – mette tutti a tacere. “tu riesci a dire tutto quello che voglio sentire tutto quello che mi fa morire, tu mi fai tremare come in bilico su di un filo statico”. Bastano poche note per capire di trovarsi di fronte ad un gran pezzo, di quelli che ti si incollano addosso: facile da ricordare ed in cui è facile riconoscersi.

A fine serata mi mettono tra le mani il disco di questa band che “non posso non conoscere”. Da lì a poco entra nei miei ascolti per stravolgerli, e mi ritrovo a cantarlo sovrappensiero o tirarlo in ballo per dire la cosa giusta. Northpole è un piccolo sortilegio racchiuso in undici brani, undici colpi secchi. Ad impartirlo ci pensa Paolo Beraldo, voce e chitarra della band, che in apertura con “Adesso è limpido” mette a segno uno degli incipit più memorabili di un disco: “Fanculo lo stile, se hai solo quello”. La sua voce nitida esalta le linee di basso e quel gusto retrò del tappeto d’archi opera del buon Fabio de Min dei Non voglio che Clara.

Ogni pezzo dell’album racconta una storia semplice, un breve spaccato di vita di provincia che scorre lungo il Piave, luogo evocato e maledetto talvolta. E ci pare quasi di conoscere alcuni di questi protagonisti, come la ragazza di “Laura” che stanca dei propri sogni messi in tasca “fa’ i bagagli e corri” inseguendo una felicità da film, o chi in “Luca Marc” giura di star meglio ora che ha “buttato tutti i desideri nel dimenticatoio” per rincorrere “una macchina più veloce ed una ragazza di prima scelta”. In “Come ogni sera” invece assistiamo al tormento di un giovane indeciso tra fare e non fare, credere e non credere, fidarsi o abbandonarsi alle proprie paure. E non dispiacerebbe infine a Bukowski un pezzo come “La musica si è fermata”, dove si cantano quegli amori di una notte e quelli che cambiano la vita e che strappano un “come te nessuna mai più”.

Pur essendo del 2005, l’album sa ancora offrire un certo riverbero che gli permette ancora oggi di brillare. E pare incredibile come la discografia italiana a lungo ne sia rimasta insensibile, almeno fino all’arrivo del team dell’Amico Immaginario (etichetta che diede fiducia al progetto). Tanto però non è bastato per assicurare una continuità al progetto Northpole che, poco dopo l’uscita del loro unico album omonimo, si trova a chiudere battenti. Nulla può però contro il talento di Beraldo che troverà comunque un nuovo campo da gioco nei Public, progetto in cui l’emotività Northpole si fa più carnale passando per due album editi.

Teniamoci stretti quindi questi undici classici che parlano di una esperienza irripetibile, sapendo di poterli trovare lì, tra i tesori di sempre, visibili appena inforchiamo i nostri occhialini per immergerci, come la bimba della copertina, in un mare rimestato di ascolti. E poco importa che i Northpole abbiano prematuramente intrapreso la china dell’oblio senza neanche poter arrivare in vetta a sentirne l’aria. Se la fortuna di questo disco si dovesse compiere sulla distanza, vale la pena allora restar a valle e godersi quella scia luminosa che lascia ogni suo ascolto.

 

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Una risposta

  1. PaoloB ha detto:

    Una piccola band di culto con una storia curiosa: John Peel nel 1996, nelle sue famose John Peel Sessione trasmise una demo della band indicandola come la migliore band alternativa italiana (“the best Italian alternative band”).
    Ho amato molto e amo ancora molto questo disco, che ogni tanto riascolto volentieri.

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