NFO best of 2022

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Ecco a voi una breve lista (in nessun ordine particolare) dei migliori dischi usciti nel 2022 selezionati per voi dallo staff di NFO Radio. Auguriamo a tutti i nostri lettori e seguaci splendidi ascolti nel 2023!

[Qui potete trovare le nostre scelte del 2021 e 2020.]


Lucrecia Dalt – ¡Ay!

Chi è in grado di insinuarsi nelle convinzioni altrui per sgretolarle è certo di poter raccogliere i frutti della propria audacia. In questo riesce Lucrecia Dalt  che con il suo ¡Ay! manomette il corredo genetico di un certo folklore musicale latino da sempre percepito distante nel tempo,  incastonato nell’immobile. Lei osa dove in pochi azzarderebbero, facendo dialogare la sua sound art fatta di sperimentazioni elettroniche con il metafisico ed il son delle congas. Il risultato è una musica identitaria nuova, dove l’infanzia si avventura nella fantascienza per raccontarci di Preta, entità aliena incorporea caduta sulla terra nell’isola di Maiorca, travolta dalla scoperta della materia e del sentimento. Non serve molto per comprendere che quel Man who fell to Earth altri non è che la Dalt stessa, artista colombiana trapiantata a Berlino da sempre alle prese con il superamento della distanza tra luoghi e tempi generato da questo suo confino. Nelle 10 tracce di ¡Ay! troviamo una musica meticolosamente arrangiata, cerebrale ma allo stesso tempo fumosa e toccante. I contrabbassi di “Atemporal” sanno delle sigarette e bourbon dei Nighthawks at the Diner di Tom Waits, mentre lo spoken-word sussurrato all’orecchio di “El Galatzó” scivola via ficcante tra fiati e synth supplicando un “Déjame romper tu éxtasis mi amor/No obedezco a tu verdad lineal”. Quella di Lucrecia Dalt è una favola senza narrazione dove le dissonanze ipnotizzano senza disturbare. Viene da un altro tempo ed è lì che ci vuole condurre. In una traccia:  “Atemporal”. (Mirella D’Agnano)


Michael Head & the Red Plastic Band – Dear Scott

Le chitarre, le corde, i flauti e i suoni legnosi senza tempo fanno da cornice all’ultimo disco di Michael Head. Il nuovo progetto musicale vede la luce a cinque anni dal suo ultimo lavoro con The Red Elastic Band e dopo 38 anni di creatività musicale e quattro progetti musicali, nati con i Pale Fountains e seguiti dagli Shack e dagli Strands (qui una recensione). La musicalità poliedrica di Head si sviluppa su un crogiolo di pop e rock psichedelico, filtrato da suoni e ritmi dei sixties sporcati dal garage rock dei seventies, e sul folk dei Byrds su cui incastra le ampiezze armoniche di Bacharach12 tracce ripercorrono con dolci chitarre, arrangiamenti complessi e suoni legnosi il percorso personale della vita di un uomo, con cadute, inciampi, incontri e ringraziamenti sinceri. È un elogio della vita nelle sue forme, una dichiarazione d’amore per la vita di un uomo, che traspone in musica la forma di una lettera di ispirazione fitzgeraldiana che Scott scriveva a Zelda. Le voci femminili che accompagnano in controcanto quella di Mike danno tridimensionalità al racconto. Sin da Broken Beauty” il suono è chiaro e lineare nella linea di basso e nelle armonie che impreziosiscono la base folk e addolciscono di una sottile malinconia la storia di una vita. Ma la bellezza perduta non sfiorisce, si contempla come i petali di una vita nello scandire del tempo: un granello di sabbia nell’eternità. In una traccia: Gino and Rico”.(Laura Birgillito)


Jockstrap – I love you Jennifer B.

I Jockstrap esordiscono nel 2022 con un disco che amplia il significato del termine eclettismo applicato alla musica dei giorni nostri. Navigano tra mille spunti di rock e pop, tutto pasticciato e riassemblato in maniera caotica e coerente al tempo stesso. E sta lì la bravura del duo londinese composto da Taylor Skye e Georgia Ellery (quest’ultima anche membro dei Black Country, New Road): in I love you Jennifer B. i due riescono a modellare un sofisticato mix di indie pop con salti di genere, spesso all’interno dello stesso pezzo: è forse la naturale reazione possiamo aspettarci da parte di una generazione di musicisti esposta ai molteplici e continui stimoli offerti da una società iperconnessa? Chissà. Da subito però si capisce che non ci sono limiti di alcun tipo quanto a stimoli, richiami ed influenze. E le idee melodiche non mancano: se il brano “Glasgow” richiama gli esperimenti indie-pop dei Fiery Furnaces, in “Greatest Hits” i Jockstrap rimodulano il pop anni ’80 a proprio piacimento. “Debra” e “50/50″ due schegge hyper-pop impazzite, e non troppo più in là c’è spazio per la ballata “What’s it all about?”. Ovunque la voce limpida di Ellery in primo piano sulle basi elettro-acustiche prodotte da Skye. Un disco da cui si esce increduli più che confusi, e pronti per rischiacciare play. In una traccia: “Greatest Hits”. (Andrea Firrincieli)


Phoenix  – Alpha Zulu

Su un volo pieno di turbolenze comincia il viaggio del settimo album della band francese Phoenix intitolato Alpha Zulu, nome anche del brano di apertura del disco. Nell’alfabeto aeronautico le due parole del titolo simboleggiano la A e la Z ed è una richiesta di aiuto. Alpha Zulu è un album architettonicamente complesso, nel quale si passa da sonorità elettroniche con ampio uso di molti sintetizzatori in brani come “Artfact”, per poi trovare elementi techno in “All my Eyes on me”, o elementi più puramente pop si sentono ad esempio nella traccia “Tonight”, uno dei singoli estratti dal disco cantata in coppia (ed è una prima volta) insieme a Ezra Koening dei The Vampire Weekend. La varietà di suoni si traduce anche nei toni dell’album: alcuni tristi, altri più speranzosi, altri ancora più dance. Mentre in Ti Amo, l’ultimo album, si riconosceva musicalmente e narrativamente un fil rouge che si snocciolava per tutto l’album, qui diverse storie e sonorità scorrono l’una nell’altra, creando così un armonico cosmo musicale: un po’ decadente, un po’ elettro-rock. In una traccia: “Alpha Zulu”.  (Giordana Marsilio)


YORK – The Vintage Funk Vol.1

Si chiama Heiner Schmitz, in arte YORK, ed è nato e cresciuto a Brema, nella Germania dell’Ovest degli anni 70. La sua biografia è fatta di musica fin dai primi anni di vita, la radio una presenza costante come pure i capolavori jazz di Herbie Hancock, colonna sonora della sua infanzia. Nel più recente album per la tedesca Upper Level Records, The Vintage Funk Vol. 1, York dimostra le sue grandi doti come compositore e multi-strumentista. Nelle 13 tracce del disco sono suoi i suoni della tastiera elettrica, del basso, dell’organo, del sassofono, del basso clarinetto e del vibrafono. Come suggerisce il titolo, il genere musicale si rifà al funk e al soul, ma non lasciatevi ingannare: basta ascoltare un paio di tracce per accorgersi che c’è molto di più. Il jazz è sempre presente, mentre i ritmi delle percussioni e gli strumenti a fiato ci trascinano su una pista da ballo. E se lo ascolterete da soli a casa, probabilmente vi ritroverete a ballarlo nel salotto. Tutto da ascoltare, ma in una traccia: “No Masterplan”. (Mattia Marello)


Beach House – Once Twice Melody

L’anno che volge al termine ha visto i Beach House,  dream pop duo di Baltimora, tornare alla carica con la loro ottava fatica, ripagando le attese del loro pubblico sempre più numeroso e variegato. In tal senso, potremmo dire che nel gargantuesco Once Twice Melody ce n’è per tutti: doppio album, diciotto tracce, ottantacinque minuti di musica in cui Victoria Legrand e Alex Scally si sfogano, si divertono, si commuovono e provano a regalare tutte queste emozioni anche a noi. La reclusione forzata del periodo pandemico ha permesso alla band di lavorare senza scadenze, concentrandosi sulla musica, autoproducendo il disco e curando personalmente ogni dettaglio della pubblicazione. Il risultato è sorprendente e soverchiante: i brani si susseguono con una certa disomogeneità negli stili e nei registri, ma con l’avanzare della scaletta il disco acquisisce un connotato quasi narrativo, risultando in ultimo coerente e appagante. Fra parentesi acustiche, stuoli incrociati di drum machine e batterie, riverberi infinitesimali ed esperimenti sonori e vocali, ascoltare Once Twice Melody è un po’ come leggere uno di quei libri in cui tante diverse sottotrame si snodano parallelamente per poi convergere insieme in un gran finale corale. E se tra i fan si comincia già a fantasticare sul “nuovo disco dei Beach House”, ci godiamo comodamente l’abbondanza offerta da questo 2022. In una traccia: “New Romance”. (Graziano D’Anna)


Mitski – Laurel Hell

Laurel Hell è il sesto album dell’artista nippo-americana Mitski, il titolo “inferno di allori” è un riferimento al modo in cui vengono descritti i boschi degli Appalachi: belli da vedere, impervi da attraversare. Un titolo ambiguo che sollecita l’ipotesi che Laurel Hell possa essere l’ultimo dono di Mitski al mondo della musica. In questo album, la cantautrice esplora il suo rapporto conflittuale con la fama: racconta di sentirsi intrappolata in essa e di voler abbandonare i riflettori, si espone in modo sincero e ci accoglie nei lati più oscuri della sua mente. Il disco contiene alcuni pezzi lenti ed evocativi come “Heat Lightning”, che descrive vividamente una notte d’insonnia; troviamo anche un sound anni 80 nei brani “The Only Heartbreaker”, “Should’ve Been Me” (che contiene il campionamento del successo degli Hall & Oates del 1982 “Maneater”) e nella ritmata “Love me More”. Laurel Hell è stato criticato per mancanza di coesione, per essersi allontanato troppo dallo stile al quale la cantante ci aveva abituati. Ma Mitski non esiste per fare musica che affermi le percezioni arbitrarie dei suoi fan. Fa musica perché la ama, e con Laurel Hell mantiene la sua promessa di fare musica solo finché le porta felicità, non resta che augurarle (e augurarci) che sia sempre così.  In una traccia:  “Love me More”. (Claudia Patti)


Big Thief – Dragon New Warm Mountain I Believe in You

Ascoltare il quinto album dei Big Thief è come passare una notte magica attorno a un fuoco con gli amici di sempre. Un po’ come il disegno a matita di copertina, se i vostri amici sono un orsetto, un dinosauro e due pennuti. Con loro parlereste della vita, dell’amore, del caos e del vostro desiderio di libertà. La scrittura del disco e la sua genesi sono infatti segnate dai mesi di pandemia globale, durante i quali la band ha registrato, in giro per gli Stati Uniti, questo doppio album. Venti canzoni della durata reale di 80 minuti, ma percepita nettamente inferiore. Dragon… è un album folk/alt-country che si colloca nel solco del romanticismo pastorale della tradizione americana. Ma lo fa in modo sorprendente, con echi blues (“Love Love Love”), lo-fi (“Heavy Bend”) e shoegaze (“Flower of Blood”). L’intro di “Change” è una sorta di disclaimer, dal sound tradizionale e molto easy listening, che prende per mano l’ascoltatore sussurrando una fiaba che con semplicità lo espone al dolceamaro costante mutamento del mondo naturale. Grazie al suo raffinato songwriting Adrianne Lenker si riconferma come una delle più talentuose autrici del panorama musicale indie, complice la chimica dei Big Thief. Pochi, infatti, hanno la capacità di evocare, con delicatezza ed in modo così intimo, immagini vivide e suggestive come quelle dei suoi testi. In una traccia: “Certainty”. (Andrea Greco)

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