Minor Victories – S/T

 

Diciamo subito che i Minor Victories non sono il canonico “supergruppo”, piuttosto la risposta alla domanda: può una band superare quella che è la somma delle esperienze messe in campo da ciascuno dei suoi componenti e farsi ricordare a prescindere di questi?

Una domanda questa che resta stretta in gola, soprattutto di fronte al disco di un collettivo che racchiude la quintessenza dell’indie-shoegaze britannico, ovvero Justin Lockey (Editors) accompagnato dal fratello nonché filmaker James, Rachel Goswell (Slowdive, Mojave 3) e Stuart Braithwaite (Mogwai). Come loro stessi scrivono nelle note dell’omonimo album, “We did this album as a band” ma senza che questo comporti delle estenuanti sessioni in studio. L’album dei Minor Victories infatti nasce dallo scambio tra i membri della band di tracce digitali: ciascuno ha registrato le sue parti individualmente, senza mai incontrare gli altri. In qualche modo questo implica che non ci siano stati i compromessi o le gerarchie proprie di una band quando entra in uno studio di registrazione. Nulla di strano se questo fosse un album post-pandemico, di quelli che escono in questi tempi. Il loro omonimo album però è del 2016, a ricordarci che certe atomizzazioni non hanno tempo, oltre al trovarci d’accordo sul loro dichiarare “who the fuck really knows what a band is nowadays anyway?”.

All’ascolto siamo sopraffatti da un lavoro di arrangiamenti e sintesi estatico, dove è percepibile lo sforzo messo in campo affinché nessuna delle ingombranti esperienze di ciascuno prevalga. Minor Victories è un sublimatore di colore in una palette ricercata più che un negativo che riempie gli spazi interstiziali tra le band che lo compongono.

Insieme alla sua versione per orchestra disponibile nel formato doppio CD, potremmo definire questo quasi un album cinematografico fatto di alternanza tra rumore bianco, profondità orchestrali da ampi spazi, esplosioni di emotività ed incursioni di elementi noise. Tanto basta ai fratelli Lockey quindi per confezionare una serie di video di un minimalismo rarefatto, in bianco e nero, costruiti su fermo-immagini dove l’assenza di elementi narrativi invita ad un attento ascolto dei vari brani.

Pezzo dopo pezzo, il crescendo di emozioni scandito dalla voce eterea della Goswell disegna racconti intimi su amore e delusioni, solo per chi cerca un balsamo per lenire le proprie ferite. Tra il “Cut from the leash of love” che apre The Thief ed il “We’ve got to find our own way out / This shipwreck on an ocean of doubt” che chiude A Hundred Ropes, si sviluppa così quella che è una intima fenomenologia dell’averne abbastanza.

Due momenti memorabili nell’album restano i duetti con James Graham dei Twilight Sad in Scattered Ashes (Song for Richard) – con atmosfere che richiamano i Jesus and Mary Chain – e con Mark Kozelek dei Sun Kil Moon in For You Always. Quest’ultimo pezzo in particolare è una vera e propria meta-ricostruzione quasi epistolare della ventennale amicizia con Rachel Goswell e che si chiude con una nota speranzosa sul come entrambi in qualche modo avranno l’uno per l’altro un soft spot.

L’epica di una collaborazione in un pezzo però è gentilmente offerta dalla maestosa Breaking My Light, in cui gli archi sono sublimati da un tappeto ritmico sapientemente modulato e che attraversa tutto il pezzo a creare degli occhi di bue melodici proprio sugli assoli di Rachel Goswell.

Una consapevolezza ed una speranza ci portiamo appresso alla fine dell’ascolto di questo disco, che resta ad oggi l’unico lavoro del progetto Minor Victories. La consapevolezza che, a differenza di qualche altro tentativo di supergruppo, non troveremo quest’album tanto facilmente nell’angolo “occasioni” di alcuni negozi di dischi; e la speranza che la straniante ma a loro così affine astrazione degli ultimi tempi ci porti chissà in dono un secondo album.

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