Denim – Back in Denim

Lawrence Hayward, in arte semplicemente Lawrence, è uno di quei musicisti del panorama contemporaneo del brit-pop britannico nel quale il confine tra persona e personaggio è appena percettibile. Estro musicale, genio creativo, un’innata puntigliosa ironia tradotta in versi e la fedeltà rispetto alla propria idea di musica si sedimentano in quest’adorabile personaggio e nei suoi progetti musicali di resistenza.

Forse l’ultimo dei romantici, profondo conoscitore della musica e delle sue pieghe, estroso, attento ai dettagli (persino ai cappelli e al colore del plettro dei suoi musicisti), innamorato di Verlaine e di Le Corbusier, critico rispetto alla musica mainstream.

Dopo l’esperienza in prima linea con i Felt, uno dei gruppi più ricercati e influenti del panorama musicale britannico tra il 1979 e il 1989 – dove la perfezione delle linee melodiche del pop-soul e della psichedelia dei sixties si addolciva nei testi intrisi di rimandi letterari – Lawrence prosegue da solo il proprio percorso musicale con un nuovo coraggioso progetto, i Denim, dando una sferzata al glam rock dei seventies e al brit-pop.

Back in Denim del 1992 è il primo album del progetto: dieci eccellenti tracce che, in una rivisitazione del novelty e delle stringhe musicali dei ‘70, rappresentano una sorta di manifesto della musica targata Lawrence. Il ritmo pop e fresco di tastiere e sonorità seventies aggiustate al sintetizzatore traggono il suo J’accuse.
“Middle of the Road”, traccia centrale del disco, sciorina ad uno ad uno, incalzandoli, i cliché del rock: dagli Stones a Spector al Dylan degli inizi, dal blues al funky al soul, dal ritmo alcolico al rock ‘n’ roll, dalla coca alle canne. E tuttavia, dice – mentre si resta in mezzo a una strada – “non c’è molto che io possa fare, sono obbligato a cibarmi dei vostri cosiddetti eroi. Non fatevi dire cosa deve piacervi, è una scelta vostra. È una tua scelta scegliere chi ascoltare. È il tuo rock ‘n’ roll”.

Segue “The Osmonds” – titolo che richiama l’omonimo gruppo musicale statunitense – uno dei più chiari e vividi affreschi degli anni ‘70, sia nelle sonorità che nel testo, scovando fascinazioni e contraddizioni politiche e sociali di quel tempo: “Negli anni ’70 c’erano i capelli lunghi, c’erano avanzi di hippy ovunque, e dovrei saperlo perché ero lì”. C’erano anche “molti piccoli Osmonds, ovunque”. Ma anche “negli anni ’70 c’erano tante bombe. Hanno fatto esplodere la mia città natale e molte persone sono state uccise. (…) Non lo dimenticheranno mai per il resto della loro vita. E tutt’intorno la gente diceva: “Odiamo l’IRA e abbiamo chiesto giustizia ma non è mai arrivata”.

Il J’accuse prosegue nelle tracce successive. “I Saw the Glitter in Your Face” è un luccicare decadente di glam rock di star al tramonto. Il risvolto ossimorico del luccichio è la miseria di “Livin’ on the Streets”, nel freddo raggelante della città tra gente che vive tra cartoni riciclati.

Chiudono il suo manifesto “Here is my song for Europe” e “I’m against the Eighties”: “Io sono contro gli anni ’80, band che non sapevano suonare, cantanti senza niente da dire”. Il suo progetto è condensato in tre linee: “Un nuovo suono (…), uno schianto fulmineo, riguarda il futuro e il passato, ma non gli anni ’80”. È un progetto che porta nel futuro, reinterpretandola, la musica accatastata nel passato, sfolgorante come gli anni ‘70 e dissetante come la pioggia scrosciante nel deserto. E siamo proprio contenti, nella nostra Middle of the Road, di avere incontrato Lawrence e il suo progetto: qualcosa vale ancora la pena.

 

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