Amor Fou – La stagione del cannibale
È nell’immaginario di una società neo-borghese italiana anni ‘60 spaccata tra lotte studentesche, terrorismo, scontri sociali e boom economici che mette le radici il sorprendente album d’esordio degli Amor Fou, una delle band dal cantautorato più cinematografico degli ultimi ventanni. Costruito su quello che il poeta Federico Garcia Lorca definirebbe il “fatale sentimento di esser nati tardi”, La stagione del cannibale è la ricostruzione chirurgica del sentire di un tempo che nessuno tra Alessandro Raina (ex voce Giardini di Mirò), Cesare Malfatti (La Crus), Luca Saporiti (Lagash) e Leziero Rescigno può dire d’aver direttamente vissuto.
Questo affresco nostalgico del passato mette al centro due “giovani cuori” la cui storia non ci sorprenderebbe trovare tra le canzoni di Tenco, Ciampi o Endrigo.
Tra esistenzialismo e premonizione di una tragica fatalità, i due amanti ci ricordano quasi i protagonisti dei film di Godard, in lotta con le proprie passioni ed una natura irredimibile per cui si compiono gli atti più efferati. Nei giorni della bomba di Piazza Fontana, sullo sfondo di pezzi come “La Strage” e “L’anno luce”, i due giovani si dicono addio iniziando un racconto a due voci in cui chi resta sposa la disillusione borghese mentre chi fugge il rammarico di un tempo sequestrato all’altro. A nulla poi vale il ritrovarsi a distanza di molti anni, se “l’essere padroni di se stessi, celebra i ritorni ma non sazia” diventa il nuovo mantra dei tempi, forse per autoconvincersi che in fondo quello non sia un parlarsi da distanze siderali.
Ne “La stagione del cannibale” troviamo tutto il talento autoriale di Raina che si cimenta con una scrittura impressionista capace con poche parole di smascherare l’animo umano. Una grossa mano gli è data dal pop elettronico di stampo La Crus che esalta il lirismo dei testi creando una trama emotiva sottile. Ogni brano sembra poi costruirsi attorno all’idea di una vampa distruttiva, dove i fuochi non attecchiscono in simultanea, salvo che nei ricordi. Senza pensare, dando alle fiamme le cose più preziose, si compie l’iniziazione ai primi turbamenti antisistema che fanno gridare al “qui tutto mi offende” della splendida Se un ragazzino appicca il fuoco. Questa consapevolezza tocca una sua vetta nel brano La stagione del cannibale, dove si canta dei primi incontri tra i due giovani e dell’ impegno a non dare quel nuovo sentimento in pasto alle fiamme.
Nella sfida alle convenzioni si fa strada il presagio di una vita in cui il ricordo del calore è la ricompensa ai colpi di testa, mentre la luce rossa evocata da “Due cuori”, una dark room svela le peggiori intenzioni. L’epilogo giunge con la separazione degli amanti, ormai disincantati e timorosi per “quei fuochi debolissimi che ora non scaldano più solo me, solo te” di “Cos’è la libertà?”. A farne le spese sono quindi le verità di ciascuno che nel pezzo “Ritorni” crepitano fino a lasciar dietro di sè solo una coltre di fumo nero.
Quello degli Amor Fou è un Bildungsroman intimo e feroce, evocativo di tempi e prese di coscienza divisive da cui si intravedono ferite mai rimarginate. In questo gioco di contrasti, all’ombra di un electro pop dal gusto antico e sperimentale allo stesso tempo, la storia di due giovani amanti offre un pretesto narrativo per parlare di quello che ruota attorno, quella società cannibale che non si muove e da cui ci si tira fuori sentendosi risparmiati. E se mai prima d’ora il racconto di una luce che muore c’è parso più attuale e spiazzante di questo, forse vorrà dire che il tempo degli Amor fou, in fin dei conti, è proprio il nostro.
(Il disco lo potete trovare in streaming integrale su youtube).